L'intervento di Papa Francesco, durante l'Angelus di domenica scorsa, è stato particolarmente severo nei confronti dell'uso della violenza e della guerra come metodo di risoluzione dei conflitti. Il riferimento era alla Siria: e proprio per sostenere la pace nel Paese, il Pontefice ha invitato i fedeli e il mondo intero a una giornata speciale, per sabato 7 settembre, di preghiera e digiuno. L'appello al digiuno per la pace in Siria è già stato raccolto da molte associazioni cristiane e ha subito suscitato reazioni. È ancora attuale una «pratica» così antica e spirituale? E se sì, perché?
Personalmente sono quel genere d'individuo che non riesce a saltare il pasto neppure a mezzogiorno: vado in crisi ipoglicemica, mi tremano le gambe, mi cala la vista, fatico a connettere, più del solito. Non so se sia per questo mio insormontabile limite che nutro (notare il verbo) un'ammirazione immensa per il digiuno e per chi davvero riesce a osservarlo. Ovviamente non sto a spendere parole per chi digiuna solo a scopi dietetici, imponendosi una triste vita di privazioni con l'ossessivo gioco della bilancia e dello specchio, magari spendendo cifre negli studi dei santoni ayurvedici. E neppure mi va di spendere parole per i devoti che il venerdì digiunano a base di gamberi e caviale, credimi, in tutto il giorno non ho toccato neanche una pernice. Delle dilaganti manie estetiche, della religiosità ipocrita e farisea, cioè di tutte le perversioni che svuotano il digiuno dei suoi significati più veri e più alti non mi importa niente. Ad incantarmi e a farmi sentire pure tremendamente limitato è la capacità di rinuncia, di sacrificio, di autocontrollo, di misura, di sobrietà in nome di qualcosa che sta molto su, molto oltre.
Certo il digiuno più noto è quello religioso, come ci hanno insegnato le nostre nonne, ma anche come ci mostrano ultimamente i nostri nuovi concittadini impegnati nel Ramadan. A dispetto di quanto pensano tante pie donne, il digiuno non è una pratica per accumulare bollini nella speciale raccolta punti verso il Paradiso, ma è un modo per distogliere lo sguardo dalle cose di questa terra, per concentrarsi su Dio, realizzando almeno in una pausa della vita che cibo e piaceri materiali non sono l'unica fonte di felicità. Chi ci crede ne fa davvero un'occasione di distacco, di ascesi, di perfetta estasi, realizzando intimamente il prodigio di allontanarsi dalle bassezze per avvicinare la sua divinità. Non a caso, in religione non si parla mai solo di digiuno: si parla di digiuno e preghiera.
È così: a me questa capacità - che non ho - scatena una stima indicibile. Una vera invidia ideale. Certo in molti non manca la capacità di alzare la testa, di guardare più in là, ma l'idea di rinunciare a tutto, persino al bene primario degli alimenti, per raggiungere altitudini totalmente spirituali, questa no, questa capacità è di pochi. E non parlo solo della motivazione religiosa. Come non pensare alla Grande Anima Gandhi e ai suoi memorabili digiuni, un cocktail di spirito e di impegno civile che ha segnato la storia. Vado oltre: come non pensare pure a Marco Pannella, che certo tradisce anche un'indiscutibile strategia di marketing politico, di sottile gioco al ricatto, ma che comunque resta un rispettabile eroe del digiuno.
Mi sembra abbastanza chiaro: non ho la minima intenzione di lanciare un'idiota apologia della rinuncia e della privazione nell'era degradata dei grandi trimalcioni, che non si negano nulla - la carne e i piaceri della carne - in nome dell'unico dogma possibile, si campa una volta sola e non vedo il motivo di campare da frate trappista. Non è questo. È stupido e patetico proporre il digiuno come virtù antitetica all'edonismo epicureo. Il digiuno non è l'unico modo per fermarsi e per elevarsi.
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