Mai disperare, neppure nei casi più compromessi: c'è sempre un Tar a garantirci la riscossa. Da un punto di vista tecnico è il Tribunale amministrativo regionale, ma gli italiani ne hanno una percezione molto diversa.
L'acronimo è sostanzialmente scomposto in Tribunale alla rovescia, per come la nobile istituzione riesce regolarmente a ribaltare le più diverse decisioni già prese. Ma forse anche questo è riduttivo. Ultimamente l'asticella si sta alzando, sempre più ambiziosamente: Tribunale anti riforme, e scusa se è poco.
È proprio in questo terminale mitologico che l'inaffondabile Italia dei campanili ripone le ultime speranze di sopravvivenza. Il potere legislativo può inventarsi qualunque innovazione, qualsiasi cambiamento epocale: per male che vada, ci sarà sempre un Tar a infilare il fatidico granello di sabbia nel sofisticato meccanismo del cambiamento, riuscendo a sconquassarlo.
In questa Italia dei campanili e degli interessi particolari ora risuonano le campane a festa di Casarano, che il Tar pugliese ha voluto premiare bloccando la chiusura del locale Palazzo di Giustizia.
Come sempre la vicenda è intricatissima e noiosissima, sul filo del cavillo, ma nella sostanza il passaggio di tutta l'attività giudiziaria nel capoluogo di Lecce viene al momento fermata. Più precisamente, si ferma il passaggio dei faldoni da Casarano a Nardò, in attesa di arrivare alla chiusura di tutti i tribunali periferici, come previsto dalla riforma, da una delle poche riforme che vorrebbero incidere sulla giustizia pachidermica. «Si tratta di una prima, importante vittoria per Casarano, vittoria che però dovrà essere ora supportata da una seria riflessione politica sull'intera riforma che ha portato all'assurda soppressione di tutte le sedi periferiche di tribunale»: così l'avvocato Mauro Memmi, uno dei trionfatori. Cioè: è solo un primo passo, una battaglia vinta, ma la vera guerra da vincere è contro la chiusura totale dei piccoli tribunali.
Inutile specificare che Casarano non è sola, in questa strenua crociata. Uguali ricorsi sbocciano in tutta Italia. Nella sola Puglia, gli avvocati ci hanno dato dentro: sperano nel Tar anche Gallipoli, Santa Maria di Leuca e Tricase, mentre sono annunciati i ricorsi di Galatina e Campi Salentina. Guardando dall'alto la carta geografica dei piccoli tribunali italiani, si fa prima a individuare quelli che si sono rassegnati. E sempre guardando dall'alto la stessa carta, riappare nitido il profilo di una strana nazione, dove tutti invocano riforme strutturali, spending review, guerra agli sprechi, seri risparmi e vere riorganizzazioni, dove tutti gridano indignati, fino a quando questo benedetto e maledetto cambiamento non arriva sottocasa. In quel preciso momento, è guerra mondiale. Si trovano mille motivi per parlare di ingiustizia, di riforma demenziale, di incompetenza governativa. E se proprio non ci sono motivi fondati per opporsi, se tutto sembra dimostrare la necessità e la logica della decisione, ne usciamo comunque con una frase totale e definitiva: «Va bene, sarà pure giusto, ma proprio noi dobbiamo cominciare?».
L'abbiamo visto e rivisto, questo film. Con le discariche e i termovalorizzatori, come dimenticare: i rifiuti al secondo piano non sono degni di un paese civile, bisogna fare gli impianti, cosa aspetta lo Stato, ma quando si fissa un punto qualsiasi sulla piantina parte subito la rivoluzione, tra blocchi stradali e occupazioni dei siti, sindaci fasciati di tricolore e troupe di Raitrè, ma soprattutto con il ben articolato ricorso al Tar. Così per le piccole scuole e per i piccoli ospedali. Così per le provincie. Vogliamo grandi riforme, purchè non tocchino i nostri piccoli interessi.
Quella dei tribunali locali, però, è a pieno titolo la madre di tutte le guerre. In questa trincea, nemici storici come avvocati e magistrati trovano improvvisamente un'intesa e un affiatamento indissolubili, nel nome di ideali superiori come lasciare la macchina dentro il box e andare in aula a piedi. Con loro, le truppe cammellate di cancellieri e segretarie.
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