Le critiche sdegnose che da molte parti sono state rivolte a questa campagna elettorale mi sembrano sorprendenti. Non perché io ritenga ingiusto definire volgare il linguaggio di molti comizianti, indecente il turpiloquio di alcuni, insopportabile la ripetitività di tutti. Ma perché in tutte le elezioni italiane e in tutti i momenti di tensione della vita politica abbiamo assistito a sceneggiate che quando andava bene erano di questo tipo, e quando (...)
(...) andava male erano peggio.
Gli eccessi attuali sono truculenti ma non seri. Manca alla situazione d'oggi - nonostante la sua gravità economica - il sottofondo di dramma e anche di tragedia che caratterizzò altre chiamate alle urne. Beppe Grillo è il tonitruante annunciatore di un'apocalisse prossima ventura, e io - pur impressionato o piuttosto angosciato dai consensi che raccoglie - non riesco a prenderlo sul serio. È sangue da fiction televisiva quello di cui vedo impregnato il verbo grillesco. Un eccellente copione che, apprezzabile in scena, costretto a misurarsi con la realtà diventa, secondo me, chiassoso e falso. Magari le urne mi smentiranno. Ma l'opinione è mia e non la ripudio.
Un po' di tempo addietro -1948 - gli italiani dovettero scegliere il loro futuro. O con l'Occidente o con l'impero di Mosca. C'era paura, soprattutto nei palazzi e nelle anticamere romane. Molti moderati temevano che i cavalli dei cosacchi si abbeverassero alle fontane di piazza San Pietro. La nomenklatura del Pci, abituata a ragionare in termini di censura e di galera e propensa ad attribuire agli avversari i suoi stessi metodi, prendeva precauzioni. Ha scritto Miriam Mafai, allora militante comunista senza dubbi: «Appartamenti, ville e casali vengono acquistati, altri vengono affittati per conto del partito da prestanome assolutamente insospettabili. Di tutti questi appartamenti Nino Seniga (che un giorno s'involerà con la cassa del partito, ndr) ha una pianta dettagliata. Ed è lui,con altri compagni della Vigilanza, a decidere dove dovranno rifugiarsi i capi nei giorni del pericolo». Cautele adesso impensabili. Anche perché i possibili rifugi sono stranoti.
Gli insulti si sprecano oggi, ma le parole di solito volano via. Non è stato sempre così. Il 13 luglio 1948 Carlo Andreoni, battagliero direttore del quotidiano socialdemocratico L'Umanità, così scrisse dopo un accenno di Togliatti a una possibile esplosione rivoluzionaria: «Dinnanzi a queste prospettive ed alla iattanza con la quale il russo Togliatti parla di rivolta, ci limitiamo ad esprimere l'augurio, la certezza che il governo della Repubblica e la maggioranza degli italiani avranno il coraggio, l'energia, la decisione sufficienti per inchiodare al muro del loro tradimento Togliatti e i suoi complici. E per inchiodarveli non solo metaforicamente». Poche ore dopo la pubblicazione di questo articolo truculento, Antonio Pallante sparò al leader comunista ferendolo gravemente. E Andreoni fu bollato come istigatore all'omicidio.
Altri tempi. Più inquietanti degli attuali. Dopo i truci accenti del comunismo e dell'anticomunismo d'antan, la melassa democristiana aveva assopito l'Italia, la guerra fredda si intiepidiva, si sperò in un'era tollerante. Fino a quando imperversarono gli anni di piombo, con la loro catena di morti. Poi la P2 offrì con Licio Gelli materiale inedito alla polemica e alla satira. Infine arrivò Berlusconi: personaggio inimitabile e provvidenziale del quale s'impadronirono sia i professionisti schifiltosetti del moralismo salottiero, sia i professionisti bramosi di sangue del moralismo cavernicolo. Presero in consegna il Cavaliere fin dal suo esordio in politica, era «re fustino»,«ragazzo coccodè», «profeta di un peronismo elettronico», «uomo di plastica». È curioso notare quante di queste battute s'adatterebbero alla perfezione al profeta urlante dei teleschermi di oggi.
Non c'è nulla da rimpiangere nella battaglia partitica cui abbiamo assistito e nemmeno nulla da esecrare. Ha rispettato le antiche regole del nulla enfatico, portato a livello di sublime perfezione dal giullare Grillo. Per favore un applauso, mentre cala il tendone.
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