Angelino, il nulla dietro le poltrone

Difende la propria botteguccia rubata al supermercato di Berlusconi. Preoccupato: ha perso la stampella sulla quale si era retto finora: Letta

Angelino, il nulla dietro le poltrone

Cercano di rovinare il banchetto a Matteo Renzi e ciò non stupisce: fa parte del gioco (sporco) della politica. Un boccone amaro sarebbe digeribile se fosse chiaro l'obiettivo che si prefiggono di cogliere gli amici del giaguaro. Ma chiaro non è. Qualcuno parla di ripicca. Altri di oscure strategie egoistiche. Noi, anime semplici, pensiamo piuttosto che si tratti di manfrina finalizzata a innervosire il segretario del Pd, e aspirante premier, per costringerlo a mollare ai rompiscatole qualche poltrona in più nel prossimo esecutivo. Ma potremmo sbagliarci.

Staremo a vedere cosa succederà nella settimana che inizia oggi. Per ora limitiamoci a fotografare la situazione così come si presenta: un caos, al quale molti partiti danno un fattivo contributo. Nichi Vendola rifiuta di collaborare con Renzi per motivi espressi male, anzi inespressi. Alcuni compagni democratici, per esempio Giuseppe Civati, minacciano addirittura di lasciare il Pd qualora l'esecutivo venga aiutato da Forza Italia.
Angelino Alfano promette sfracelli nel caso in cui il governo si tinga troppo di rosso e punti ad approvare leggi tipicamente progressiste, tipo matrimonio fra gay e roba del genere. Il Coniglione mannaro difende la propria botteguccia rubata al supermercato di Silvio Berlusconi, nei modi e nei tempi che tutti ricordiamo con disgusto. Egli è preoccupato. Ha perso la stampella sulla quale si era retto finora: Enrico Letta. È terrorizzato dalle elezioni europee, che affronta a mani nude e con scarse possibilità di piazzare suoi uomini, stanti le difficoltà del Ncd a superare lo sbarramento del 4 per cento, soglia minima per entrare nel Parlamento continentale. Inoltre, consapevole di non essere molto simpatico al probabile premier, lo attacca a titolo preventivo per fargli intendere che il prezzo della propria collaborazione non è basso: tante poltrone.

La regola è la solita: do ut des, ti do se mi dai. Le schermaglie durante le fasi preliminari sono scontate, servono a misurare le forze in campo prima che incominci davvero la partita. Supponiamo che Renzi, pur privo di esperienze romane, non si lasci spaventare da chi fa la voce grossa. Ma si sarà reso conto che la faccenda si complica quando la posta in palio non è più la guida del partito, bensì quella del Paese. Cambiano gli interessi, aumenta la voracità degli avversari e perfino degli amici. Se c'è di mezzo la spartizione del potere, la politica patria mostra immancabilmente il suo volto peggiore.

Immaginiamo che i cittadini elettori, ammesso e non concesso che seguano con passione gli sviluppi del contenzioso in atto, non comprendano appieno i motivi di tante battaglie. Anche i più maliziosi non sono abbastanza avveduti per concludere che siamo di fronte a uno spettacolo osceno e avvilente. Altro che teatrino. Questa è una latrina in cui Alfano recita egregiamente nel ruolo di protagonista. Lui, che ha abbandonato Forza Italia per andare in soccorso di Letta, ora trema al cospetto di Renzi e lo aggredisce per non esserne aggredito.

Che pena questa gente che conosce perfettamente quali siano i beni personali e ignora quale sia il bene comune.

Alfano va compatito, comunque: non essendo stato capace di erigere alcunché per se stesso e il proprio gruppo, s'impegna a distruggere ciò che Matteo e Silvio stanno costruendo - un governo che, per quanto posticcio, sia preferibile al nulla che lui ha combinato - persuaso di saldare così i suoi glutei allo scranno prestigioso di ministro dell'Interno. La festa è finita.

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