Dovrebbe essere facile identificare l'antisemitismo quando una folla suddivisa in falangi preparate ad arte insegue dei tifosi israeliani urlandogli «ebreo» e «Allah hu akbar», li investe con le auto, picchia a sangue anche i bambini, costringe le vittime a saltare nei canali o a inginocchiarsi ripetendo «viva la Palestina», sghignazza su un padre che copre il figlio col suo corpo e dice prendete tutto ma lasciatelo stare. Sì, dovrebbe essere facile, infatti le autorità olandesi si sono vergognate e scusate. Invece alcuni giornali italiani, proprio come Al Jazeera, sono infiorettati di «un nesso fra l'odio antiebraico e i crimini delle forze israeliane» (Gad Lerner sul Fatto), di «vergognosi cori» dei tifosi che arrivano sull'onda del «massacro di civili inermi» (Manifesto). Sull'Unità, oltre a questo punto di vista, si trova anche una di quelle inchieste in cui si proclama che nelle carceri israeliane si torturano i bambini.., ecco dunque perché si odia Israele. Il tema (per chi studia l'argomento è ormai imbarazzante, dato, dal 7 ottobre, il ributtante inaspettato quantificato tsunami di antisemitismo) è quello della legittimità di criticare, anzi di combattere Israele, la differenza fra critica e antisemitismo. Ci sono molti libri su questo argomento da quando Martin Luther King disse a un suo interlocutore: «Tu dici sionismo, my brother, ma in realtà intendi gli ebrei, e questo è antisemitismo». Ma la sovrapposizione dei termini è stata soprattutto decifrata dalla scoperta del grande storico Bernard Lewis, nel 2005, con l'idea del «nuovo antisemitismo politico» che trasforma i vecchi stereotipi della sete di sangue, dell'egoismo, della grettezza, della smania dominatrice in colonialismo, imperialismo, nazifascismo, autoritarismo, razzismo, crimini di guerra, genocidio.
Finisce l'odio religioso romano e cristiano medievale, poi quello razzista nazista e poi comunista, e si approda a quello odierno. Israele, l'ebreo collettivo è Shylock, o Dreyfus. Come un tempo si perseguitavano gli ebrei sostenendo che mescolassero le azzime di Pasqua con il sangue dei bambini e da questo si motivavano i pogrom con migliaia di vittime, e poi la Shoah è stata spiegata nel Mein Kampf come un'indispensabile pulizia del mondo, così oggi mentre non si sa nulla su come si conduce e perché la guerra a Gaza, si basano accuse di stragi e genocidio su dati mai verificati, gonfiati, di fonte nemica a Israele.
L'antisemitismo mascherato da critica politica in Occidente ha creato una fitta rete di diffamazione ormai infissa nella comune narrazione televisiva, la crescita della propaganda islamista, l'ignoranza panneggiata nella favola woke degli oppressori e degli oppressi: l'occupazione coloniale di un mai esistito stato palestinese è la più diffusa, e la più falsa. Nathan Sharansky durante la sua prigionia (9 anni) nelle carceri sovietiche come dissidente ha spiegato come nessun altro: ci sono tre D che individuano l'antisemitismo. Demonizzazione, come quando si compara Israele ai nazisti o lo si accusa di genocidio quando invece sono gli ebrei a essere l'oggetto di un conclamato progetto di genocidio sperimentato fra l'altro il 7 di ottobre. Doppio standard, quando per esempio l'Onu condanna freneticamente Israele per violazione di diritti umani, e ignora Cina, Russia, Siria, Iran o quando Israele non può essere eletto alla testa di molte commissioni dell'ONU, o quando si esclude dalle mostre, dagli incontri sportivi e scientifici. L'ultima D sta per delegittimazione: popolo indigeno nella sua terra, al popolo ebraico è negato con una storia inventata il diritto di esistere e di difendersi.
Israele ha colpito una base dell'Unifil ed è scoppiato lo scandalo internazionale; chi si è accorto che gli Hezbollah hanno avuto la stessa avventura? Il cumulo di stereotipi, la larga diffusione, la trasformazione in diritti umani dei palestinesi rendono l'Occidente lo zimbello dell'odio e della violenza di Amsterdam, l'islamismo estremo e il radicalismo riportano l'Europa agli anni '30.
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