Quante belle parole che si sentono pronunciare, da quando Donald Trump ha vinto le presidenziali americane lo scorso 4 novembre, sulla presunta prospettiva di una giusta pace tra Russia e Ucraina. Ieri ne sono arrivate tante. Trump ha detto che il dialogo con Mosca va avanti bene, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha confermato che i contatti con Trump si sono intensificati e ha aggiunto che c'è la disponibilità russa a trattare con l'Ucraina «a condizione di un assoluto pragmatismo e ricordando che il signor Zelensky così lo ha chiamato, non presidente, nda ha grossi problemi di legittimità a rappresentare il suo Paese», e Volodymyr Zelensky ha chiarito di essere disposto perfino a parlare con Vladimir Putin, che pure considera «un nemico» e con il quale non intende «essere gentile».
Parole che sottintendono una base di disponibilità e perfino un sufficiente spirito costruttivo. Poi ne vengono però pronunciate altre che vanno in direzione diversa e che, soprattutto, sottintendono dei fatti che rendono la prospettiva di dialogo poco più che vuota retorica. Ed ecco il già citato Peskov ricordare che secondo lui «le dinamiche dell'operazione militare speciale indicano molto chiaramente che apertura e interesse per i negoziati dovrebbero essere dimostrate da Kiev». Che tradotto vuol dire: siccome la guerra sempre secondo lui la sta vincendo la Russia, allora sono gli ucraini a doversi presentare al tavolo col cappello in mano. Ed ecco lo stesso Peskov osservare che se Zelensky volesse incontrare Putin, «dovrebbe come prima cosa eliminare quel bando per legge che oggi rende impossibile tale incontro, sennò sono solo parole vuote».
Ecco anche Zelensky che incontra a Kiev il ministro britannico degli Esteri David Lammy, con il quale apertamente concorda sulla ben scarsa volontà russa di negoziare seriamente e di perseguire realmente la pace. Con il Regno Unito, e con molti altri Paesi europei e con la stessa Ue, Zelensky condivide la convinzione che l'Ucraina debba poter negoziare da una posizione di forza e non di debolezza. Da qui gli aiuti, militari e non solo, che Londra e gli europei continuano a fornire a Kiev.
A proposito di linea da tenere con la Russia. Secondo il network americano Nbc News, all'interno dell'amministrazione Trump si registrerebbero divisioni tra chi vorrebbe esercitare più pressione su Zelensky chiudendo i rubinetti degli aiuti Usa all'Ucraina fino ad arrivare alla sua resa, e chi invece ritiene più opportuno premere su Putin perché fermi la sua aggressione militare. Tra i primi spiccherebbe il vice presidente JD Vance, tra i secondi ci sarebbero il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz e lo stesso inviato di Trump per l'Ucraina Keith Kellogg.
Il quale Kellogg, dopo aver fatto contento Putin alcuni giorni fa affermando che in Ucraina si dovrebbero tenere entro l'anno nuove elezioni presidenziali, ieri ha annunciato la sua presenza alla Conferenza sulla sicurezza che si terrà a Monaco di Baviera dal 14 al 16 febbraio.
Qui, ha anticipato, discuterà con gli alleati europei degli Stati Uniti le sue proposte per porre fine «alla sanguinosa e dispendiosa guerra in Ucraina». Mancano dieci giorni alla conferenza, e c'è da sperare che per allora Trump avrà definito una linea di condotta che, al momento, è lecito sospettare che non sia stata ancora determinata.
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