Il boomerang del Manifesto di Ventotene

Il compito di unificare sotto un'unica bandiera la piazza che si è riunita lo scorso week end in nome dell'Europa era un esercizio quasi impossibile

Il boomerang del Manifesto di Ventotene
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Chi ha strappato i capelli, altrui. Chi è scoppiato in lacrime in Parlamento, non è chiaro se per nostalgia o crisi nervosa. Chi ha affrontato lo scirocco e i marosi in pellegrinaggio per raggiungere il venerato suolo dell'isola. Persino lo studio di Lilli Gruber, sacro ad ogni sinistra, è stato profanato dall'ira del prof. Cacciari, tra gli sguardi smarriti dei presenti.

Diciamo una cosa: fino alla settimana scorsa il «Manifesto di Ventotene» lo avevano letto davvero in pochi. Neppure chi lo citava ad ogni piè sospinto forse lo aveva davvero sfogliato tutto. E se il combinato disposto della piazza che lo sventolava orgogliosa come simbolo di puro europeismo e il dibattito in Parlamento fossero stati una strategia per ridare vigore in libreria al testo, la mossa sarebbe stata da dieci e lode. Lo stratega della comunicazione avrebbe meritato un premio in busta paga.

Invece credo che meriti un licenziamento in tronco: perché l'idea di nascondere, dietro un testo antico, le divisioni moderne, si è dimostrata un boomerang e ha prodotto un corto circuito nella sinistra in cerca di temi comuni.

Il compito di unificare sotto un'unica bandiera la piazza che si è riunita lo scorso week end in nome dell'Europa era un esercizio quasi impossibile. Sotto quel palco infatti convivevano linee politiche non diverse, ma opposte. Pacifisti, favorevoli ad una trattativa con Putin, senza però poterlo dire, perché lo ha già detto l'odiato Trump. Idealisti, pronti a riarmare l'Europa in difesa di diritti che la nuova America sembra essere disposta a ridiscutere, pur di far tacere le armi. Estremisti, che cancellerebbero le spese militari tutte, senza se e senza ma. Qualcuno che addirittura estenderebbe lo scudo nucleare anglo-francese a tutta Europa per sostituire quello statunitense.

Come unificare una simile babele sotto un unica bandiera? Idea degli organizzatori: ripartiamo da Ventotene, da quel manifesto scritto da Spinelli e compagni nel lontano 1941 e mesi seguenti, mentre infuriava la Seconda Guerra Mondiale. Un lodevole ripasso di storia contemporanea, un disastro per l'attualità politica. Perché se il presente divide la sinistra, il passato la lacera ancora di più. Sventolare in piazza un testo che propone la limitazione della proprietà, lo smantellamento degli stati Nazionali, e altre attempate idee cancellate dalla storia nel secolo scorso, ha il sapore del rimpianto, non del progetto.

Che infatti non c'è. Se i giudizi critici della premier Meloni appaiono scontati per storia e collocazione politica, ben più laceranti sono le parole di Carlo Calenda, che pure in quella piazza c'era e si rifà a quel movimento di «Giustizia e Libertà» anima nobile del progressismo italiano: «In un mondo in fiamme - ha chiosato il Leader di Azione - siamo gli unici idioti in giro che dibattono su Ventotene».

Ci prova Prodi a tirare fuori la sinistra dall'angolo in cui si è cacciata. Prova a farlo di mestiere da trent'anni, ma stavolta non riesce neppure a lui. Il Professore spiega ad una giornalista che quello è un documento storico, e come tale va interpretato, e non proposto come piattaforma politica, come pure hanno fatto i suoi amici in piazza. La politica che si richiama alla storia, sono parole dell'ex primo ministro, è una volgarità.

Nel tirare le orecchie alla sinistra e alla piazza, al Professore però capita di tirare anche i capelli della incauta giornalista, che si

permette il fastidioso quesito all'illustre cattedratico. Un finale coerente con la storia: quando Spinelli scrisse il «Manifesto» le donne non avevano diritto di voto, figuriamoci se le giornaliste potevano fare domande.

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