Da Bossi a Mastella, da Di Pietro a Lombardo: per governare imbarcano chiunqueQuel vizio rosso di cercare la costola della sinistra

Da Bossi a Mastella, da Di Pietro a Lombardo: per governare imbarcano chiunqueQuel vizio rosso di cercare la costola della sinistra

RomaIn principio Domineddio creò l'uomo. Lo vide solo, sfiduciato, senza maggioranza parlamentare. Inventò la «costola della sinistra».
Fu così che a Eva, arrivata terza, non restò che trastullarsi col diavolo tentatore. Ma quella notevole idea restò nell'anima del peccatore, e non fu dunque caso fortuito quello che vide Massimo D'Alema, il 31 ottobre 1995, riaffermare con forza uno dei principi della fondazione, applicandolo al ribaltone leghista pochi mesi prima consumato: «La Lega di Bossi c'entra moltissimo con la sinistra, è una nostra costola». Non sfugga la straordinaria coincidenza con la notte delle streghe e delle zucche vuote di Halloween.
Invano, negli anni a seguire, il prodigioso statista cercò di smentire se stesso: «Mai detto che la Lega è una costola della sinistra, è una leggenda popolare». Immemore del primo comandamento recatogli direttamente dal segretario Berlinguer («I dirigenti mentono, sempre, anche quando non sarebbe necessario»), l'infallibile campione fu smascherato più volte sulla stampa. D'altronde, al congresso straordinario della Lega nel precedente 11 e 12 febbraio, aveva sostenuto esattamente la tesi della costola leghista che s'incarnava nella sacra trinità anti-berlusconiana: D'Alema medesimo, Bossi e Buttiglione. Era stato il famoso incantesimo delle sardine, piatto forte di casa Bossi, che il 23 dicembre '94 aveva suggellato il patto. D'Alema, inutile dirlo, rinnegò pure quel misero desco: «Preferii digiunare, il frugale pasto fu consumato da loro due».
Eppure la Costola era lì, conficcata nelle successive disfatte della carne di sinistra, e continuava a trasmettersi di costato in costato. Bastava essere di giovamento a un corpo parlamentare via via sempre più rinsecchito. Ché la costola dc, Rosy Bindi, invece di arrecar salute pareva infettare l'intero plesso. I trapianti continuarono: ancora officiante Max giunse via Mugello Antonio Di Pietro. D'Alema gli carezzò la gota, fu ricambiato con solida pacca molisana sulla spalla. «Non vengo a dire che sono di sinistra, non parlo con voi chiamandovi compagni. Non prendo in giro il prossimo, sono cresciuto in parrocchia, dei comunisti dicevamo: attenti che mangiano i bambini», disse l'ex Pm.
Tonino fu profeta: mangiò la zuppa comunista e volò via. Costola di sostegno fu Mastella e, storia recentissima, anche Casini. «Ma quale costola della sinistra? Di che parliamo?», finse stupore Lorenzo Cesa nel settembre scorso, quando tutto tramava per un'altra santissima trinità: Bersani, Vendola, Casini. Quasi un'equazione, con un'incognita irrisolvibile: Gianfranco Fini, per il quale apparve ovvia la designazione a cartilagine. E poi Raffaele Lombardo, siciliano capace d'essere eletto con il Pdl per stringere l'accordo di governo in Sicilia con il Pd e fare pure marcia indietro. Costola tornò a essere Maroni, con tanto di scopa, quando Bossi venne fratturato dalle avventatezze del figlio Trota. Non si parlerà neppure della forma estrema, i Marxisti per Tabacci, pericoloso deviazionismo.

Ma quando D'Alema ha giudicato Grillo un «incrocio tra il primo Bossi e il Gabibbo», ogni dubbio s'è tramutato in certezza. Cinquestelle potrà essere «costola della sinistra», anche se destinata a trafiggerne il cuore stremato. Per divorarselo con voluttà, come Toro Seduto a Little Bighorn.

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