Una sete irrefrenabile di vendetta avrebbe armato la mano di Francesco Furchì, 50 anni, l'uomo accusato di aver sparato al consigliere comunale dell'Udc Alberto Musy il 21 marzo del 2012 nell'androne della sua abitazione in via Barbaroux. Fucrì voleva uccidere Musy per lavare l'onta di un tradimento professionale, politico e umano. E per questo, secondo gli inquirenti, tese un agguato al consigliere: quattro colpi di pistola, di cui due alla schiena, ferendolo e condannandolo a vivere nel limbo tra la vita e la morte. Ieri notte, al termine di un lungo interrogatorio, il pubblico ministero Roberto Furlan ha firmato il provvedimento di fermo. Furchì è accusato di tentato omicidio con l'aggravante di aver agito con premeditazione e per motivi abietti «in quanto - scrive il pm - commetteva il fatto come reazione e vendetta a precedenti comportamenti della vittima valutati come tradimenti». A dieci mesi dall'agguato in via Barbaroux 35, l'uomo dal casco nero ha un volto, un nome. Un'indagine tortuosa che ha visto la polizia impegnata a raccogliere le testimonianze di oltre un centinaio di persone, e nell'analisi di oltre un milione e mezzo di contatti ottenuti dalle 350 celle telefoniche prese in esame. Il movente va ricercato nella quotidianità di un faccendiere vittima delle sue stesse bugie e che contava su Musy per affermarsi in quell'ambiente sociale da lui tanto ambito, quello dei «salotti buoni» . Furchì voleva vendetta perché Musy si rifiutò di raccomandare per la carica di professore associato dell'Università di Palermo Biagio Andò, figlio dell'ex ministro Salvatore. Non solo. Un'altra delusione il presunto attentatore la visse sul fronte politico. L'uomo si aspettava, visto l'impegno che aveva profuso per Musy in campagna elettorale nel 2011, un incarico comunale che in realtà non si concretizzò. Alle Comunali Francesco Furchì ottenne 57 voti, ottavo nella lista «Alleanza per l'Italia» che raccolse 3.113 preferenze, lo 0,78% totale. Ma lo sgarro più grande si consuma nell'affare Arenaways. L'indagato cercò infatti di unire una cordata di imprenditori per rilevare la società ferroviaria sull'orlo del fallimento. Furchì chiese a Musy di trovare imprenditori disposti a investire, in modo da trovare quelle risorse che gli avrebbero permesso di rilevare l'azienda. Per l'attentatore l'affare Arenaways era il «sogno della vita», quella porta che gli avrebbe permesso di passare dal ruolo di faccendiere a quello di protagonista. Quindi, per gli inquirenti, Furchì aveva mezzo, movente e opportunità. Non c'è la prova, ma gli investigatori sospettano che si sia procurato l'arma negli ambienti malavitosi con i quali l'uomo era in contatto attraverso anche l'associazione «Magna Grecia Millegnum» che aveva il fine di diffondere la cultura calabrese in Piemonte. La mattina del delitto Furchì si trovava in centro e cercò anche di crearsi un alibi, fissando un appuntamento con i traslocatori per far sgomberare la sede dell'associazione in via Garibadi 13. Un altro indizio è arrivato dal video. Esperti del politecnico sono riusciti a ricavare dal filmato altezza, peso, larghezza delle spalle. Caratteristiche fisiche che corrispondono a quelle di Furchì.
Poi una perizia medica legale ne ha analizzato postura e camminata evidenziando delle peculiarità. Peculiarità che «derivano da malformazioni fisiche particolari e niente affatto comuni». Furchì, dal canto suo, nega. Assistito dall'avvocato Nicola Campagna, domani si presenterà dal gip per la convalida.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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