Il Pd è un non senso. Non abbiamo ancora digerito gli strambi proverbi di Bersani, con i suoi giaguari da smacchiare e le bambole da pettinare, che già bisogna masticare il bla bla di Renzi. È la parodia della politica. Non è un caso che l'immagine più vera di tutti i segretari del partitone sia la faccia di Crozza. È lui, con le sue maschere, che mette in scena l'unica identità della sinistra italiana. Questa sfilata di segretari che giorno dopo giorno diventano più surreali, distanti, comici, personaggi della commedia dell'arte. All'inizio fu il tormentone «ma anche» di Veltroni, poi l'apoteosi con Bersani. Quello di Crozza è una leggenda, un mito. È il re della bocciofila che sogna la caccia grossa, un Achab con un volto tragicomico, uno sconfitto su cui non si riesce a piangere. Una maschera che il vero Bersani è riuscito a cancellare, scrollandosi di dosso quel po' di tenerezza, nei giorni delle trattative per il nuovo governo, quando il livore per la poltrona di Palazzo Chigi perduta lo ha fatto diventare antipatico ai suoi compagni di partito e perfino ai suoi sostenitori. È Crozza che svela le debolezze di Renzi, il nuovo che avanza, il rottamatore, che alla fine è solo un vuoto a perdere, un personaggio a due dimensioni, piatto, con un programma politico orecchiato qua e là, bravo a vendere banalità e a costruire parole intorno al nulla. È un Renzi che sembra buono per tutte le stagioni, democristiano quando funziona essere un po' democristiano, berlusconiano per distinguersi dalla sinistra ossessionata dal Cav, extraparlamentare quando c'è da castigare Letta. La novità è alla fine un politico prêt-à-porter, un top model nel catalogo delle ideologie autunno-inverno. E qualcuno comincia a chiedersi quanto durerà. L'otto dicembre dovrebbe conquistare la segreteria del partito, ma i suoi nemici, e sono tanti, faranno di tutto per cuocerlo a fuoco neppure tanto lento. La specialità del Pd in fondo è consumare segretari. Cinque in sei anni. Peggio che a Palazzo Chigi. Veltroni, Franceschini, Bersani, Epifani e ora Renzi. È una carica usa e getta, che la dice lunga sulla crisi che sta vivendo il maggior partito della sinistra, incapace di trovare un leader e un equilibrio di classe dirigente. C'è un clima da curia vaticana ai tempi dei Borgia. Veleni e sgambetti sono un marchio di fabbrica. Ne sa qualcosa Prodi, che non si arrende davanti alle tante delusioni. Dopo la carica dei 101 che lo ha impallinato davanti al Quirinale aveva giurato: non farò mai più politica. E come conseguenza aveva detto che non sarebbe andato a votare alle primarie. Ora ci ripensa e annuncia la sua partecipazione.
E c'è chi sospetta che il suo non sia senso del dovere o amore per il Pd, ma la voglia di prendersi finalmente il Quirinale. Sente odore di elezioni e assapora la vendetta definitiva. Con cento e uno nomi da far saltare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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