Spara davanti a Palazzo Chigi: "Volevo uccidere un politico"

Mentre il governo giura al Quirinale, Luigi Preiti, disoccupato di 49 anni, fa fuoco contro due carabinieri: uno è gravissimo. Ferita pure una donna incinta. Preso l'aggressore

Luigi Preiti, l'uomo che ha sparato a due Carabinieri di fronte a Palazzo Chigi
Luigi Preiti, l'uomo che ha sparato a due Carabinieri di fronte a Palazzo Chigi

Roma - «Bastardi, infami maledetti. Mi avete rovinato. E adesso sparatemi, uccidetemi». Occhi sbarrati, allucinati. Il ghigno di morte accompagna l'urlo in faccia ai carabinieri di ronda a Palazzo Chigi che gli si accasciano tra i piedi, trafitti dal piombo della sua semiautomatica 7,65. «Bastardi...» borbotta lucido, puntando e sparando sei volte a bersagli mobili come se giocasse alla playstation o al tiro a segno al Luna Park. «Bastardi...» è la sola cosa, ed è anche l'ultima, che riesce a proferire prima di finire faccia a terra, spiaccicato sui sanpietrini di piazza Colonna sotto il peso di un altro benemerito dell'Arma, incurante del fischio dei proiettili, svelto a saltargli addosso e a placcarlo come si fa nel rugby. «Bastardi...» sussurra quand'anche immobilizzato, con quel volto alla Diabolik rivolto sull'asfalto, vede la vita scorrere sottosopra: un povero cristo che agonizza a braccia aperte, un collega azzoppato e sanguinante, una mamma incinta contusa nella calca col marito che trascina il figlio abbandonando il passeggino. Eppoi i tre ciclisti ruzzolati di lato, turisti e passanti che scappano alla cieca, agenti armati a caccia di eventuali compari scontrarsi coi cameraman a caccia di uno scoop.
Solo quando lo tirano su per caricarlo a forza in ambulanza, il muratore Luigi Preiti, 49enne di Rosarno già residente a Predosa nell'Alessandrino, spiantato, drogato di gioco d'azzardo, senza più famiglia, senza moglie e figlio accanto, senza lavoro, insomma senza più speranze, capisce quel che ha combinato. «Volevo fare un gesto eclatante, non ce la facevo più. Perché non mi avete ammazzato? Io ci ho provato ma avevo sparato tutto, non c'era più niente nel caricatore» balbetta a caldo a chi gli sfila dalla tasca il portafogli per capire chi sia il rambo metropolitano, se uno squilibrato o un terrorista.
Perché davvero è un mistero quest'uomo che tra i palazzi romani del potere si presenta alle 11.40 con passo svelto, mani in tasca, indossando il vestito buono della domenica gonfiato da una rivoltella infilata alla cintola. Un uomo in realtà disperato, diretto al portone di Palazzo Chigi perché – confesserà qualche ora dopo – puntava ad ammazzare «il primo politico che mi capitava a tiro». La sua confessione dà i brividi e il senso di un'emergenza sociale che non conosce fine: «Non ho più niente, la mia vita è finita, mia moglie mi ha lasciato, non vedo più mio figlio di 10 anni. Son tornato a vivere dai miei genitori in Calabria. Disperato, finito, morto. Ho programmato questa cosa più di 20 giorni fa, quando ho preso l'arma al mercato nero di Alessandria. Ce l'ho con la politica e con questi politici qua che hanno rovinato l'Italia. Volevo uccidere un politico, più di uno. Un gesto eclatante in un giorno importante. Ho sparato quand'ho capito che non mi facevano passare, ma io non ce l'ho coi carabinieri, ce l'ho con quelli lì, che non ci aiutano, non fanno nulla. Io non odio nessuno, odio i politici».
Se solo avesse fatto meglio i conti, optando per la piazza del Quirinale anziché per Palazzo Chigi, Preiti avrebbe avuto gioco facile andando incontro a ministri in pectore giungere a piedi, in taxi, con la propria auto, certamente senza scorta. I carabinieri sono stati dunque un intralcio al vendicatore solitario, vittime per caso di un piano studiato per lasciare il segno in contemporanea al giuramento dei ministri. Così Preiti è sfilato a metà mattinata davanti alla Camera proseguendo verso piazza Colonna e fermandosi di botto a due passi dall'obiettivo allorché i carabinieri del Reparto Toscana hanno chiesto ai passanti di non procedere oltre perché da quel momento il passaggio veniva chiuso al traffico pedonale. Quello stop ha mandato in tilt il killer. Ha capito che non ce l'avrebbe fatta a raggiungere il palazzo del governo e di fianco a un blindato dei carabinieri ha estratto l'arma e ha sparato con una professionalità tipica di un sicario della sua terra. Da dove, l'altra sera, dopo essersi fatto comprare il biglietto dalla madre, parte in treno diretto a Roma.
Lungo il tragitto Preiti inciampa addirittura in un controllo di routine della polizia ferroviaria che non avendo notato niente di anomalo o sospetto, ringrazia e prosegue. Sceso a Roma Termini si dirige all'hotel Concorde, due stelle a due passi dalla stazione. Alle 15.20 entra nella camera 522, vi resta due ore, esce ma torna subito, dopodiché si rinchiude fino alle 8.30 del mattino dopo. Paga in contanti, non fa colazione, saluta il portiere Hamdi sapendo che non sarebbe più tornato. Esce trascinando un trolley blu, che nessuno sa più dove sia finito. Dalle sette, invece, hanno già preso servizio i due militari predestinati a incrociare la follia omicida di un calabrese inesperto di questioni criminali, con un solo precedente penale per falso, che senza troppa difficoltà è riuscito a procurarsi una pistola punzonata, con matricola abrasa.
Il cinquantenne brigadiere Giuseppe Giangrande, siciliano, e il carabiniere scelto Francesco Negri, 30 anni di Torre Annunziata, 1.200 euro ognuno a fine mese, all'ora x del destino non hanno il tempo di capire. Una fitta al collo per il brigadiere, che all'ospedale Umberto I finisce sotto i ferri per una lesione alla colonna col rischio di restar paralizzato dopo aver perso la moglie nemmeno due mesi fa. Proiettili alle gambe del carabiniere scelto, ricoverato in codice rosso all'ospedale San Giovanni, frattura della tibia e tanto sangue perso, recita il referto. Se la caverà, il giovane Negri, giunto in barella insieme al suo attentatore dirottato in un'altra stanza del reparto stracolma di medici, carabinieri, magistrati e psichiatri.
L'alba di un nuovo governo tramonta nel peggiore dei modi, coi vecchi politici a rinfacciarsi le responsabilità della crisi, e il nuovo che avanza a negare d'aver soffiato sul fuoco per bruciare il Palazzo. Poteva andare peggio, si dirà.

Come si era già detto a dicembre 2009 quando un altro svitato, Massimo Tartaglia, lanciò una statuetta sul volto di Silvio Berlusconi. Il clima d'odio da allora è cresciuto. Il far west di ieri disarma persino chi si ostina a sostenere il contrario.

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