Prima di atterrare al Corvetto, luogo di una rivolta milanese, e per questo ribattezzato banlieue, propongo subito una equivalenza che mi varrà il titolo di razzista e di xenofobo. Ci sono abituato, amen. Ecco il mio algoritmo della bomba atomica che abbiamo in casa noi e l'Europa intera, e da cui Trump cerca di liberare l'America. Immigrazione uguale criminalità. Aggiungiamo pure tutti gli aggettivi dolcificanti per attenuare questa parità di genere concettuale. Esse sono entrambe irregolari, incontrollate, sbandate e organizzate (dalla criminalità). Questo dicono i numeri. Per esempio, a Milano i reati - dice il ministro Matteo Piantedosi, come riferito sul Giornale dalla nostra Paola Fucilieri -, sono riferibili per il 65 per cento a chi è giunto dall'estero. Non solo dalle parti del Duomo. Ovunque in Italia, nell'ambito dei delitti più odiosi, come gli stupri, le occupazioni di case degli anziani e le rapine per strada, stravince la criminalità forestiera, un primato che non si esprime in cifre assolute ma, dicono gli statistici, in «incidenza». E specie quando le vittime sono donne, questo discende dall'immigrazione: da quel patriarcato islamico che le femministe in salsa Schlein non vedono. Sono soprattutto gli occhi ad attestare il nesso da proferire tra stranieri e delitti e a dettare sentimenti antipatici come la paura e l'insofferenza alle plebi italiche, tra cui mi ficco. Sia chiaro. Le badanti, gli operai senegalesi che vediamo coi caschi nei cantieri, e gli asfaltisti nigeriani che d'estate arrostiscono, i muratori albanesi e i mungitori indiani delle vacche padane e delle bufale salernitane nessuna persona perbene li associa all'idea di criminalità e neppure a quella di immigrazione. Gli italiani detestano le invasioni e i coltelli, non il turbante dei sikh che raccolgono le zucchine o le vesti azzurre delle eritree che ci fanno le iniezioni. Questo deve far riflettere: non siamo di cultura razzista, ci hanno insegnato altro in casa. Riconosciamo il diritto alla vita di chiunque, ma non il diritto all'invasione. Li salviamo se annegano, ma questo non gli fa guadagnare il nulla osta a starsene da noi, con le conseguenze del cui elenco vi risparmio la noia. Meloni ha messo in piedi le strutture albanesi per rispedire a casa gli abusivi, per salvare noi e loro.
I respingimenti non sono cattiveria ma legalità lungimirante.
Che salvezza è accogliere queste persone e poi sbatterle come cani randagi in strada a farne prima sciagurati mendicanti e subito dopo delinquenti? Se ne stanno lì a bivaccare, poi a lasciarsi irregimentare a servizio della malavita, che ne ha organizzato il trasferimento dall'Africa, e dalle coccole della sinistra che calcola di assoldarli presto, grazie a cittadinanze di comodo, per falsificare la democrazia. Ottenendo così di ribaltare i resti di civiltà che ancora ci tiene insieme. Una nazione deve fondarsi, per essere tale, su un equilibrio sociale che per reggere alle prove della vita deve reggersi su quell'impasto di cultura e religione trasmesso dalle generazioni precedenti. Logico che se i padri si fa in modo saranno in maggioranza musulmani, toccherà attrezzarci di tappetino per la preghiera verso la Mecca e di Corano per adattarci alla sharia. Come sta accadendo in Francia e in Inghilterra, nonché in Germania con il beneplacito dell'Europa finora di sinistra, ma adesso vedremo.
Ed eccoci al Corvetto. C'è una paroletta che si è improvvisamente diffusa: banlieue. Vuol dire periferia in francese. L'etimologia però è pessima: sta per luogo di banditi. Ha acquistato questo significato originario a partire dalle rivolte dei decenni scorsi intorno a Parigi, con barbagli di fiamme e girovagare di gang attrezzate a combattere qualsiasi presenza di polizia o di forestieri rispetto alla compatta presenza di immigrati islamici, soprattutto nordafricani di seconda e terza generazione (e non è che si spera che la quarta generazione sia meglio). Ribellismo in rima con il fanatismo delle moschee, territori separati, repubbliche indipendenti che tendono ad allargarsi e a sottomettere il resto della popolazione, con gesti di terrorismo ciclico. (A Londra è un po' la stessa cosa, la
differenza non è religiosa ma etnica: lì gli islamici sono pachistani e asiatici). Questa espansione è sostenuta dagli omologhi di Ilaria Salis, si chiamano «Insoumis». Significherebbe «i non-sottomessi», «gli schiena-dritta», ma come ha scritto il maggior filosofo europeo, Alain Finkielkraut, costoro sono i veri sottomessi: venduti all'islamismo e all'antisemitismo.
Lo stesso sta accadendo in Italia? Immigrazione da cui banlieue, come terra impunità di criminalità, islamismo e antisemitismo cullati dalla sinistra? In questi giorni la parola è stata associata al Corvetto. È un quartiere di Milano che si attraversa in auto per dirigersi verso Sud.
Le immagini sono eloquenti a documentarne il perché. Autobus e cassonetti incendiati, carabinieri guardati e cacciati via come assassini. La sera da tempo non è più un bel posto dove circolare. Non è mai stato una bellezza, bensì decorosa periferia. Migranti dal Sud e tante famiglie povere sin dagli anni 50 e 60. Zona disagiata, ma la trama della convivenza era tenuta insieme dalla rete di parrocchie e dall'azione caritatevole delle suorine pratiche e infaticabili schierate lì da don Giussani, il quale abitava da quelle parti. Le suorine ci sono ancora, e meno male, ma è cambiato il tessuto di quelle zone che pure è meno peggio di altre aree della metropoli lombarda. Se inizia il contagio stiamo freschi. Con una ragione di preoccupazione in più. Il Corvetto è diverso dalle banlieue se non altro per una ragione chilometrica. È vicinissimo al centro di Milano.
Ma il sindaco Beppe Sala, con il suo consulente all'ordine pubblico Franco Gabrielli, punta sulla sicurezza delle biciclette. Mi viene da dire, come cantava Giorgio Gaber a proposito del Riccardo: ma per fortuna che c'è Meloni, che un po' sola gioca a salvarci.
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