Direbbe il cinico: per una manciata di voti, si vendono pure la madre. Ai fotografi, alle televisioni, al marketing elettorale. Ma riconosciamolo onestamente: suona male. Suona eccessivo. Suona decisamente carogna persino ai più esasperati robespierre d'Italia. Ai nostri politici non va perdonato niente, eppure sulla mamma è meglio andarci piano. Ci conosciamo bene, sappiamo che nessuno di noi oserebbe mai usare biecamente la mamma. Siamo pur sempre la prima nazione al mondo per mammismo, infantile e tardone. È l'unico spread dal quale dominiamo tutti gli altri di parecchie spanne.
Marino aveva avvertito già venerdì: prima andrò a votare io in bicicletta, poi passerò in macchina a prendere mamma Valeria, 91 anni e un femore appena rifatto, per accompagnarla alle urne. Il giorno dopo, la ripartenza di Alemanno: anch'io porterò mamma Teresa a votare. Prima della conta decisiva, un equo pareggio affettivo. Decisioni taglio umano, i romani non si divideranno almeno su questo.
Tanto si è discusso negli ultimi anni della siringata intima e familiare dentro la carriera politica. Gli spin doctor di tutto il mondo, elaborando strategie sofisticate, hanno sempre ammesso che comunque moglie e prole accanto al candidato diffondono un sentore di cose buone, semplici, giuste, vere, per la serie una famiglia così non può partorire un politico disonesto e cretino.
Ma la mamma è un'altra cosa. Con la mamma è diverso. Presentarsi a sessant'anni accompagnati dalla mamma può persino diventare un mezzo boomerang, dato il dubbio sotteso che il candidato sindaco non abbia ancora reciso il cordone ombelicale, che non sia ancora riuscito a staccarsi dalle gonne della madre. Quando addirittura non si arrivi a concludere che il futuro sindaco è un bamboccione, succube e sottomesso, incapace di pensare con la propria testa.
È un rischio che si corre, ma è un rischio che tutti quanti corriamo volentieri. Pure Berlusconi, all'epoca, non ha mai esitato a mostrare in pubblico l'affettuoso legame filiale con la signora Rosa. Anche loro insieme alle urne, mano nella mano, con tutti quei flash che sanno di famiglia e che lasciano intuire le buone lasagne a pranzo.
Così oggi i Marino e gli Alemanno, finalmente rilassati, dopo le feroci campagne elettorali. Si diffondono per il Paese le immagini della simpatica domenica italiana, un copyright, anche davanti ai seggi. Decisamente meglio di certe foto di certi luoghi oppressi, non dalla mamma ma dalle truci dittature.
Non è un limite, non è una debolezza: se molti di noi ancora dedicano un po' di domenica alla mamma, portandola a votare, pranzando con lei, visitandola all'ospizio, ascoltando le sue pene, anche se ce le ripete trenta volte, sempre le stesse, sempre allo stesso modo, se qualcuno di noi è ormai obbligato a imboccarla, ad asciugarle il mento con il bavaglino, proprio come faceva lei sessant'anni fa a noi, se cioè noi italiani riusciamo ancora a sentire questo legame forte, a coltivare questo amore per sempre, ecco, possiamo dirlo: non c'è imbarazzo e non c'è rossore, di questo costume italiano siamo sinceramente orgogliosi.
Al diavolo, una volta per tutte, la spocchia degli stranieri che ci compatiscono e ci sfottono, fieri delle abitudini loro, la madre che non corre quando il pupo piange come un dannato, la mamma che lo lascia solo in casa, la mamma che a un certo punto prepara la valigia e accompagna l'erede alla porta, perché questa promiscuità comincia presto a urtare il suo sistema nervoso. Affrancati, disinibiti, autonomi: così si raccontano loro, contrapponendosi a noi, piagnoni, viziati, mammoni, eternamente infantili.
E va bene, qualcosa sarà pure vero, ma chi se ne importa. Stranieri, non sapete che vi perdete. Beati i Marino, beati gli Alemanno, beati tutti quelli che anche a una certa età possono sentirsi ancora figli.
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