Che Beppe Grillo, nella sua marcia trionfale verso il nulla, trovasse un alleato nel sistema politico che si è ripromesso di distruggere è senz’altro una sorpresa. Ma al limite dell’incredibile è che questo inaspettato compagnon de route- o anche, come si usava dire, «utile idiota » - sia nientemeno che il segretario del Pd e candidato premier del centrosinistra Pier Luigi Bersani.
L’argomento,com’è noto,è scottante e cruciale: la riforma elettorale. Per mesi i partiti hanno perso tempo e cambiato idea quasi ogni giorno, piegando i sistemi elettorali di mezzo mondo agli umori, e soprattutto ai timori, del momento. Per dovere di cronaca, va ricordato che il Pd è stato il primo, con la cosiddetta «bozza Violante», a proporre il ritorno al proporzionale, seppur corretto dallo sbarramento e da un eventuale premio di maggioranza. L’idea, allora, era quella di consentire a Casini di correre da solo, per stringere poi un’alleanza all’indomani del voto. Nel frattempo, però, Grillo ha cominciato a macinare successi su successi, fino a superare nei sondaggi addirittura il Pdl. E nel Palazzo è scattato l’allarme rosso.
Con l’avvicinarsi del voto, il Pd dunque da proporzionalista che era si è trasformato in iper- maggioritario, tanto da far sorgere in qualcuno (per esempio Casini, oggi ai ferri corti con Bersani) il dubbio che i Democratici vogliano in realtà tenersi il Porcellum. Sospetto fondato, quantomeno perché il Pd è in testa ai sondaggi e col Porcellum chi arriva prima prende, alla Camera, la maggioranza assoluta. Non ha dunque torto, Bersani,a vedere nell’emendamento votato da Pdl, Udc e Lega (che alza al 42,5% la soglia minima per far scattare il premio) un modo per fermare la sua corsa verso palazzo Chigi. Ma ha torto nel credere seriamente che si possa governare un Paese in crisi con un terzo appena dei voti espressi, cioè, a conti fatti, col consenso di appena un elettore su cinque. Per un partito che, quando si chiamava Pci, bollò come «legge truffa» una riforma elettorale che assegnava un premio alla coalizione che superasse il 50% dei voti, pretendere la maggioranza dei seggi con il 30% è a dir poco contraddittorio.
Grillo, che sembra un matto ma osserva con attenzione ogni minimo movimento nel campo avversario, quello dei partiti della Seconda repubblica, ha gridato l’altro giorno al«colpo di Stato » a proposito della soglia del 42,5%, e Bersani gli ha subito dato ragione, senza riflettere neppure per un attimo sulle conseguenze. Ieri ha persino rincarato la dose, minacciando di «mettersi di traverso» e di «far saltare tutto» se dovesse rimanere la soglia del 42,5% o se, in alternativa, al primo partito non fosse assegnato un premio del 10%. E gli amici di Vasto gli hanno subito dato man forte:«È scandalosa l’idea che debbano modificare le regole del gioco per truccare la partita», ha tuonato Vendola; e Di Pietro, grillino dell’ultima ora: «Se questo non è un golpe, cos’è?».
Beppe Grillo gongola. I suoi nuovi supporter stanno lavorando per lui. E nel modo per Grillo più efficace: mostrandosi avido di vincere anche senza avere i voti necessari,Bersani è oggi l’incarnazione più convincente della Casta che intende perpetuarsi a ogni costo, indipendentemente dalla volontà degli elettori e dal consenso raccolto. Assecondando la denuncia di Grillo, in realtà Bersani si autodenuncia e confessa, neppur troppo implicitamente, di esigere regole che lo facciano vincere. E in questo modo accresce la generale disistima per la classe politica.
L’inedito asse Grillo-Bersani (con il segretario del Pd nel ruolo di ignaro sabotatore del proprio esercito) è destinato a rafforzarsi se l’accordo con Casini dovesse definitivamente naufragare (ieri fra i due sono volate parole pesanti) e se davvero, come si vocifera, il Pd dovesse
imbarcare anche gli «arancioni »di De Magistris e i«comunisti democratici » di Diliberto. Con simili alleati, Bersani finirebbe nell’angolo del radicalismo. E Grillo, che quel campo domina incontrastato, ingrasserebbe felice.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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