Il doppio schiaffo di Renzi e Grillo al finto vincitore

RomaNon si dovrebbe mai sparare sul pianista. Anche se stonato, affranto, sbiadito, anzi smacchiato, com'è Pier Luigi Bersani all'interno e all'esterno di un partito sull'orlo dell'implosione. La colpa di tutto non è di Bersani, ma del Pd, sia chiaro. Espressione politica nata logora e con l'anima volta alla dannazione del potere, così come viene fuori prepotentemente dal gioco di Beppe Grillo, come il gatto con il topo. Con il linguaggio di strada che ha fatto breccia tra gli elettori: «Bersani è fuori dalla storia e non se ne rende conto. I giochini sono finiti e quando si aprirà la voragine del Monte dei Paschi forse del Pidimenoelle non rimarrà neppure il ricordo. Renzi? Come uniche credenziali ha quelle di aver fatto il politico di professione senza nessun risultato apprezzabile e ora si candida a premier. Ma non aveva perso le primarie? Questi hanno la faccia come il culo... Dicono di fare scouting con i nostri? Si comportano come volgari adescatori. Questa è politica? Fare compravendita? È mercato delle vacche, un modo puttanesco di fare politica. Ma noi non siamo in vendita. Se il Pdmenoelle vuole trasformare Camera e Senato in un Vietnam, il M5S non starà certo a guardare».
In realtà napalm e vietcong sono già in azione, ma al Nazareno, sede del Pd. Chi tira la volata all'arrivo salvifico di Renzi, chi invia veline ai giornali sull'operazione scouting (un gruppo di grillini pronto a lasciare il Guru), chi si accontenterebbe dello scalpo di Bersani. Cui non resta che lanciare il suo flebile Sos per un «governo di scopo, di minoranza, chiamatelo come vi pare. Con sette-otto punti di programma, chi ci sta ci sta. Lo dirò a Napolitano». Il problema è che il Capo dello Stato non ascolterà e nutre sempre più dubbi sull'incarico a un re travicello cui hanno segato la trave. Renzi, che ha gli assi in mano (forse pure nella manica) ha capito che non è il momento della puntata forte, bensì del cip attendista. «Ho combattuto Bersani a viso aperto... Non lo pugnalo alle spalle oggi, chiaro?».
Ma il sindaco di Firenze si pone come risposta pidina al grillismo, e lo fa sapere sul Web. «Niente giri di parole: abbiamo perso le elezioni. Pensiamo di uscirne vivi offrendo a Grillo la Camera e a Berlusconi il Senato, secondo gli schemi che hanno già fallito in passato?». Trova «sbagliato inseguire Grillo», ma anche «giocare al compro baratto e vendo dei seggi grillini». Occorre «rimettersi in sintonia con gli italiani», «sfidare Grillo sulle cose di cui parla, spesso senza conoscerle. Non inseguirlo sulle frasi ad effetto. Tanto lui cambia idea su tutto».
Ma su una, si può scommettere, non ci sarà ripensamento: «Mai con Bersani». Lo ripete Grillo e lo riferisce Dario Fo dopo un consulto con Gianroberto Casaleggio. Il premio Nobel si spende per un «terreno comune» di dialogo tra Grillo e il Pd: «Un governo si può fare, con un volto nuovo», dice. Ma Casaleggio non sembra affatto d'accordo a legare le mani del M5S in responsabilità di governo col Pd. «Se verrà messo insieme un governo, formato da altri partiti, il M5S darà il proprio voto a tutto ciò che costituisce parte integrante del proprio programma», spiega in un'intervista al The Guardian. Il maggiore influencer dei grillini vede il successo del Movimento in Italia come «l'inizio di un maggior cambio radicale». E sembra persino propenso al congelamento del governo Monti, piuttosto che a contaminazioni.

Visione globalizzata che fa breccia persino all'interno dell'odiata Goldman Sachs, un cui alto dirigente, Jim O'Neill, definisce il risultato elettorale italiano come qualcosa di «abbastanza entusiasmante, segnale dell'inizio di qualcosa di nuovo». Urge avvisare i furbetti dello spread.

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