Non perde tempo, la Commissione parlamentare Antimafia, nel cercare di capire come sia stato possibile che una macchina da dossieraggi si sia impiantata e abbia lavorato per anni proprio nell’ufficio di punta per la lotta al crimine organizzato: la Dna, la Procura nazionale antimafia.
Nei prossimi giorni verranno sentiti a Palazzo San Macuto i due magistrati che più possono fare chiarezza su quanto sta emergendo: il primo, domani, sarà il procuratore della Repubblica di Perugia Raffaele Cantone, che - partendo dalle denuncia del ministro Guido Crosetto ha portato alla luce il flusso continuo di notizie riservate a favore di giornalisti amici gestito da Antonio Laudati, pm nazionale antimafia, e dal suo collaboratore più stretto, il luogotenente della Guardia di finanza Pasquale Striano; dopodomani toccherà all’attuale capo della Procura nazionale, Giovanni Melillo.
Melillo è lì dal 2022, quando è arrivato la macchina da dossier funzionava a pieno regime, grazie al cosiddetto «gruppo Sos» creato dal suo predecessore Federico Cafiero de Raho per centralizzare le segnalazioni di operazioni sospette provenienti dalla Banca d’Italia e affidato a Laudati e Striano. Melillo colse rapidamente l’anomalia di quella concentrazione di notizie e di potere e smantellò il gruppo, e non a caso da quel momento le fughe di notizie iniziano a diradarsi. Ma intanto i dossier erano stati creati e fatti trapelare, con informazioni delicate su decine e decine di esponenti politici, imprenditori e vip vari.
Questo chiama inevitabilmente in causa il predecessore di Melillo, Federico Cafiero de Raho, che quando era alla Dna pretese - sollevando le proteste di molte Procure locali - il monopolio delle segnalazioni di Bankitalia. Il problema è che oggi, grazie anche a quel trampolino di lancio, Cafiero de Raho è deputato dei 5 Stelle: che infatti ieri insorgono a sua difesa, parlando di «vergognose e pericolose insinuazioni sull'istituzione Dna e su chi l'ha diretta in passato», «nessuno sfrutti questa vicenda per tentare di infangare persone o istituzioni con volgari strumentalizzazioni politiche». Ma il problema esiste, senza il «gruppo Sos» voluto da Cafiero de Raho le fughe di notizie non avrebbero avuto le dimensioni torrenziali che si stanno scoprendo. Per questo Forza Italia, attraverso il vicepresidente dell’Antimafia Mauro D’Attis chiede che il collega grillino, anche lui vicepresidente della Commissione, domani e dopodomani resti fuori dalla porta: «riteniamo sia opportuno che il vicepresidente Cafiero de Raho si astenga dal partecipare alle sedute che riguardano l’inchiesta perché all’epoca dei fatti era il Procuratore nazionale antimafia».
L’allargamento a dismisura delle attività di Laudati e Striano sotto la guida di Cafiero è dimostrato anche da quanto sta emergendo nell’indagine su Gabriele Gravina, presidente della Federcalcio. Laudati mente al suo capo Melillo sostenendo che lo spunto gli viene da una indagine della Procura di Salerno. Invece è Laudati stesso, pur non avendone alcuna competenza, a convocare come testimone Emanuele Floridi, già braccio destro di Gravina.
Perché? Su quali basi? Floridi a quel punto non può fare altro che rispondere, e raccontare quello che sa su come Gravina, quando era a capo della LegaPro, ha gestito il business dei diritti tv perle serie inferiori del calcio italiano. Dichiarazioni che Floridi ripete quando viene interrogato a Perugia da Raffaele Cantone e a Roma, dove il fascicolo alla fine arriva dal pm Giuseppe Cascini.
L’indagine è potenzialmente esplosiva: seicentomila euro che Gravina avrebbe incassato da Isg, una società inglese, in cambio dell’appalto per le riprese. Storia interessante. Ma cosa c’entrava la Direzione nazionale antimafia?
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