Il premierato allo studio del governo Meloni "riecheggia Mussolini". In un articolo del Times britannico, giornale del gruppo Murdoch, la riforma costituzionale voluta dall'esecutivo è stata accostata al nome del dittatore fascista. Nel pezzo in questione, firmato dal corrispondente Tom Kington, le critiche mosse dalla senatrice Liliana Segre alle modifiche costituzionali sono diventate il pretesto per una descrizione parziale della situazione politica in Italia.
"Giorgia Meloni ha in programma di rivedere la Costituzione per dare maggiori poteri ai futuri leader italiani, sostenendo che l'attuale sistema lascia i primi ministri in preda a complotti di partito”, ha scritto il quotidiano britannico, citando poi le stroncature della senatrice a vita per scrivere che la regola del premio di maggioranza "riecheggia una legge introdotta da Benito Mussolini, il dittatore fascista, per darsi più potere". Il riferimento è alla legge Acerbo, citata in un passaggio del discorso della Segre, introdotta nel 1923 dal Duce.
Nulla di strano che un giornale riporti delle dichiarazioni e cerchi un titolo a effetto. Ma il compito della stampa dovrebbe essere anche quello di offrire una visione critica dei fatti. Ebbene, in questo senso appare paradossale che un quotidiano britannico non sia riuscito a comprendere le ragioni della riforma proposta dal governo Meloni. Del resto, lo stesso sistema di governo del Regno Unito prevede un modello che attribuisce all'esecutivo enormi poteri, delineando di fatto un sistema bipartitico nel quale chi vince ottiene un mandato forte e tale da riuscire ad approvare senza difficoltà le proprie proposte legislative.
In questa conformazione politica, il governo è l'espressione del partito di maggioranza. E il Parlamento non ha un risolutivo potere di incidenza nelle dinamiche interne. Ma - giustamente - nessuno si sogna di dire che quel sistema abbia alcunché di pericoloso o di antidemocratico. Dal momento che l'obiettivo della riforma proposta da Giorgia Meloni è proprio quello di garantire una più solida governabilità del Paese, non si comprende come mai il quotidiano britannico non riconosca almeno la bontà dell'operazione condotta dal nostro esecutivo.
Il premierato non è una parolaccia, né una
minaccia. Non lo è in Gran Bretagna, dove di fatto esiste, e non dovrebbe esserlo nemmeno in Italia. Anche perché si tratta di una riforma che riguarderebbe tutti i partiti e non solo quelli che governano in questo momento.
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