Piccolo vademecum di fine anno. Non è mai facile muoversi nel mare magno della nostra informazione, soprattutto quando si tratta di guardare retrospettivamente al fantomatico «Ventennio berlusconiano». Distinguere, quindi, i fatti dalle opinioni è impresa complicata, perché come ebbe a dire una volta lo stesso Silvio Berlusconi «se camminassi sulle acque direbbero che non so nuotare».
Vediamo allora quali sono alcune delle balle che ricorrono maggiormente quando si ragiona ex post su quanto avvenuto dal '94 in poi. La prima, la più classica, riguarda appunto il «Ventennio» di governo. In realtà la differenza di durata tra governi del centrodestra e centrosinistra dal '94 in poi è di circa 8 mesi. In pratica si tratta di 3337 giorni per i governi guidati da Berlusconi contro i 3057 del centrosinistra - con presidenti del Consiglio, Lamberto Dini, Romano Prodi, Massimo D'Alema, Giuliano Amato e poi nuovamente Prodi. Il totale per il centrosinistra arriva a 3090 giorni se contiamo anche il governo Letta dal giorno in cui Forza Italia è passata all'opposizione. Insomma la differenza è di soli 247 giorni e con il trascorrere del tempo (e dell'esecutivo Letta) andrà inevitabilmente riducendosi.
La seconda grande balla è quella fondata sulla tesi della costituzione di un «regime» durante l'era Berlusconi ai danni delle altre forze democratiche. Paradossalmente, invece, nella storia repubblicana gli ex Pci sono saliti al governo per la prima volta proprio dopo la vittoria del leader di Forza Italia. In sostanza, quindi, dal '94 in poi si è spezzato il meccanismo della «conventio ad excludendum» che impediva alla sinistra italiana di salire al potere.
La terza balla è quella secondo cui nel «Ventennio berlusconiano» (creazione di pura fantasia visto che al governo in realtà il centrodestra c'è stato 9 anni) nessuna riforma sarebbe stata realizzata. Al contrario ci sono riforme che hanno inciso sulla nostra vita quotidiana e altre che continuano ad avere un impatto forte (e altre ancora che senza referendum abrogativi avrebbero potuto farlo). Alcuni esempi? La riforma Maroni delle pensioni che ha assicurato sostenibilità finanziaria al sistema (nonostante le varie controriforme del centrosinistra); la Legge Biagi; l'eliminazione dell'imposta di successione; il bonus bebè; la Bossi-Fini; l'abolizione della leva militare obbligatoria; l'abolizione dell'Ici; la creazione della social card; l'aumento delle pensioni minime; la trasparenza nella PA targata Brunetta; la patente a punti; il divieto di fumo nei luoghi e nei locali pubblici, ovvero la Legge Sirchia. A queste vanno aggiunte a) la riforma costituzionale che abolì il bicameralismo perfetto e ridusse il numero dei parlamentari, cancellata dal referendum voluto dal Pd nel 2006 b) la Fitto-Ronchi, ovvero la riforma dei servizi pubblici locali che imponeva l'obbligatorietà delle gare per l'assegnazione di un servizio e il divieto di assunzione per parenti fino al quarto grado di parentela (cancellata dal famoso referendum basato sulla surreale tesi della «privatizzazione dell'acqua», vero e proprio assurdo per un bene demaniale).
Cosa resta, invece, delle riforme del centrosinistra? A memoria si ricordano l'innalzamento dell'obbligo scolastico; il 3 X 2 universitario; il pacchetto Treu sul lavoro interinale; la (pessima a giudizio dello stesso centrosinistra) riforma del Titolo V; la legge Draghi sulle Opa e le lenzuolate di Bersani che stabilirono l'abolizione del tariffario per gli ordini professionali, una forte tracciabilità dei pagamenti e la portabilità gratuità del mutuo da un istituto di credito a un altro. Percorsi diversi sui quali ciascuno può maturare un giudizio. Cercando di distinguere i fatti, nella nebbia delle memorie labili e della scoperta propaganda.
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