I giudici superano i limiti: Napolitano dovrà deporre

La corte d'Assise dice sì e riapre lo scontro tra la procura e il presidente della Repubblica. Colle prudente: "Valuteremo l'ordinanza". E il guardasigilli Cancellieri: sono perplessa

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

RomaNon andrà alla sbarra. Non dovrà nemmeno declinare le sue generalità: Napolitano Giorgio, anni 88, professione presidente della Repubblica italiana. Infatti saranno i giudici a muoversi e a salire sul Colle per sentire se ha qualcosa da dire sulla trattativa Stato-mafia di vent'anni fa e «sulle preoccupazioni espresse dal suo consigliere giuridico Loris D'Ambrosio». Faranno domande e chiederanno chiarimenti, purché si resti «nei limiti» fissati dalla Corte Costituzionale nel dicembre del 2012. Ma la sostanza non cambia: per la corte d'assise di Palermo il capo dello Stato, al pari del presidente del Senato Pietro Grasso, è «un teste ammissibile».
«Una scelta inusuale, che lascia perplessi», dice Anna Maria Cancellieri, ministro della Giustizia. «Una decisione originale», commenta Luciano Violante, ex presidente della Camera ed ex magistrato. In realtà una mossa molto «politica» di una magistratura che alza il tiro sul Colle. Un colpo di coda delle toghe palermitane che riattizza lo scontro istituzionale e riapre in Napolitano una ferita sanguinosa, la scomparsa di D'Ambrosio, stroncato da un infarto dopo essere stato triturato da pm e giornali. Al Quirinale se l'aspettavano. Nonostante la sentenza della Consulta che ha fatto bruciare le intercettazioni illegali del presidente con l'ex ministro Nicola Mancino e riaffermato la «riservatezza assoluta» delle sue comunicazioni, la partita era ancora aperta.
Se l'aspettavano ma adesso lassù non stanno certo facendo i salti di gioia. La linea per ora è prudenza, prudenza, prudenza. «Si è in attesa di conoscere il testo integrale dell'ordinanza adottata dalla corte d'assise di Palermo - si legge in un comunicato dal quale traspira una certa dose di irritazione e amarezza - per valutarla nel massimo rispetto istituzionale».
E non bastano a tranquillizzare King George i rigidi paletti eretti dal presidente della corte Alfredo Montalto che, accogliendo la richiesta dei pubblici ministeri Teresi, Di Matteo, Del Bene e Tartaglia, ha ammesso la testimonianza solo sulla lettera scritta da d'Ambrosio il 18 giugno 2012. Il consigliere giuridico del Colle, tartassato al telefono da Nicola Mancino, l'ex ministro dell'Interno imputato nel processo, temeva di essere considerato «solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi, nel periodo fra il 1989 e il 1993».
Di che parlava? Quali sono gli indicibili accordi di cui scriveva D'Ambrosio? Sono queste le domande che i pm vorrebbero rivolgere a Napolitano, sebbene solo quatto giorni fa la motivazione del processo Mori abbia smontato il teorema della trattativa Stato-mafia. C'è di più. Il capo dello Stato dovrà riferire sulle «preoccupazioni» di D'Ambrosio «nei limiti contenutistici della sentenza della Corte costituzionale». E cioè «nei soli limiti delle conoscenze che potrebbero esulare dalle funzioni presidenziali, pur comprendendo le attività informali».
Era stata la Consulta a mettere un punto fermo nel lungo braccio di ferro tra Procura e Quirinale. Decidendo la cancellazione delle intercettazioni, l'Alta Corte aveva ribadito che il capo dello Stato «per svolgere efficacemente il proprio ruolo di garante dell'equilibrio costituzionale, deve tessere costantemente una rete di raccordi allo scopo di armonizzare eventuali posizioni in conflitto».

In questo quadro è «indispensabile» che il presidente «affianchi continuamente ai propri poteri formali un uso discreto del potere di persuasione, essenzialmente composto di attività informali». E quest'azione informale «sarebbe destinata a sicuro fallimento se si dovesse esercitare mediante dichiarazioni pubbliche». Ma ora la palla è di nuovo in gioco.

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