Il corpo a corpo tra «il socio Bardi», albergatore in san Quirico d'Orcia, e il superbanchiere Profumo, non è sotto forma di poesiola in rima baciata, come aveva fatto il socio Perferi, pensionato senese e anche lui piccolo azionista turlupinato, ma si protrae oltre i 7 minuti concessi dal timer di Profumo, per volontà inderogabile del Bardi stesso, che di assemblee di soci Mps non se ne perde una dal '95: «No io vado avanti! Dicevo, state bene attenti senesi che...». Lui, il socio Bardi, è uno dei trentasette piccoli azionisti iscritti a parlare, per minuti complessivi 259, pari a quattro ore e mezza di analisi, accuse, proclami, insulti, avvertimenti, richieste di spiegazioni. Che il top manager Alessandro Profumo ascolta con flemmatico aplomb, come se si trovasse in un salotto buono o in un cda a Wall Street, mentre invece è in una assemblea-piazza fatta non da banchieri o broker ma da artigiani, pensionati, ristoratori, gente normale che, in maggioranza, ribolle di risentimento. Soprattutto per «la banda Mussari», l'ex capo assoluto di Mps, uomo di stretta osservanza Pd, responsabile delle operazioni sui derivati e della incomprensibile acquisizione di Antonveneta, pagata 5 miliardi più del valore reale. Vicende che a Profumo, uomo da 40 milioni di euro (di buonuscita da Unicredit), tocca sentir riassumere cosi dal socio Tucci: «I derivati sono la ciliegina sulla torta di merda preparata dal calabrese Mussari».
L'ira dei piccoli azionisti, nell'unico giorno in cui possono far sentire la loro voce e avere l'illusione di contare come i pezzi grossi, è verso la politica che «ha rovinato la nostra banca», e quindi inevitabilmente il Pd, partito unico nel sistema unico politica-banca-affari a Siena. Il socio Bianchini erutta: «Sono un banda di incapaci e maneggioni, hanno distrutto cinquecento anni di storia, sono patetiche le difese dei dirigenti del Pd, il disastro è da attribuire alla politica, io lo dicevo anche quando questa assemblea si prostrava a Mussari».
È la rivolta dei sudditi del principato di Mussari, città- Stato gonfiata dai soldi del Mps e in mano al Pd, guerra per fazioni permettendo. Un plotone di esecuzione coi condannati in contumacia, col solo Profumo crivellato di colpi qua e là, quando gli rinfacciano di essere «in continuità» con la precedente gestione perché i capi del Pd si congratulavano pubblicamente per il suo arrivo, «mentre noi eravamo molto dubbiosi», e per l'indagine per frode che lo riguarda (il banchiere minaccia querele). Colpevoli assenti, ma chiaramente identificati nei veri governatori della banca, i dirigenti del Pd senese e non solo. Tanto che il socio Maccari, piuttosto che rivedere agli sportelli la vecchia politica, si augura l' arrivo di nuovi capitali stranieri, «meglio cinesi, russi, gli arabi, sono pronto a fare un Palio per Maometto. Più lontano si va dalla politica e meglio è, magari fosse vero quel che dice Bersani, che la banca ha fatto la banca e il Pd solo il Pd, è vero il contrario». Un altro socio descrive la vicenda Mps in termini difficilmente riportabili in una semestrale: «L'hanno spremuta come una mucca ma si sono mangiati anche la mammella».
L'intervento di Beppe Grillo, il primo, non è affatto il più duro. Il leader Cinque stelle, che nei giorni precedenti ha acquistato due azioni Mps per poter parlare come socio, prende di petto Profumo, dicendo che non ha il curriculum adatto per risanare il baratro Mps quantificato da Grillo in 14 miliardi, (ma il presidente Mps smentisce subito). «È un disastro come Parmalat, ci vuole una commissione che interroghi tutti i dirigenti Pd dal '95 a oggi». La sera prima Grillo ha richiamato qualche migliaio di persone in una piazza di Siena, sotto la pioggia, sparando sui partiti, soprattutto su «Gargamella» Bersani. L'ultima volta, nel 2011, il M5S ha preso poco, ma ora dopo la bomba Mps le cose potrebbero cambiare. Soprattutto per il centrodestra, che si presenta alle comunali di maggio (voto anticipato per commissariamento del Comune, faide tra Pd ex Ds e Pd ex Margherita) con una grosse Koalition versione senese, con un candidato civile (il chirurgo Eugenio Neri) e pezzi fuoriusciti dal Pd. Il partito di Bersani ha fatto pressing per votare nell'autunno scorso, e la Cancellieri aveva già pronto il decreto, ma poi il centrodestra ha fermato tutto. Col senno di poi, ragiona il coordinatore Pdl Massimo Parisi, deputato, una fretta di votare molto sospetta: «Che avessero già allora sentore che i problemi del Monte non si limitavano a quelli già emersi nei mesi precedenti?».
Coi derivati e il popolo dei piccoli soci che sembra in rivolta contro i poteri forti rossi, la vittoria del Pd, per la prima volta da secoli, non è scontata. Una conseguenza persino più spaventosa, per Bersani, dei derivati e dei debiti di Mps.
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