L'Italia è il paese delle sentenze già scritte e dei luoghi comuni presi come Vangelo da folle vocianti. Basta sfiorare il filo elettrificato del luogocomunismo che anche il più immacolato degli eroi diventa un traditore, un poco di buono, uno da segnare a dito digrignando i denti. Di questo clima da Barabba ne ha fatto recentemente le spese un manager quasi divenuto anch'egli un luogo comune vivente, Enrico Bondi, l'esecutore chiamato a risollevare le sorti dell'Ilva di Taranto dopo numerose esperienze di «risanatore» fra cui spiccò la rimessa in carreggiata della Parmalat. Agli occhi del pubblico Bondi è ormai una specie di agente speciale incaricato delle missioni impossibili, in grado persino di farsi nominare «supertecnico» dal non rimpianto governo dei tecnici guidato da Monti senza suscitare indignazione.
Bondi ormai non domanda più nemmeno compensi per la sua attività e, una volta insediato all'Ilva prima come amministratore e subito dopo come commissario straordinario, ha fatto una cosa banalissima: chiedere una relazione ad un gruppo di esperti per poter capire meglio il da farsi. Incauto lui. Vista l'esperienza avrebbe dovuto capire che è obbligatorio confermare le aspettative degli urlatori dei luoghi comuni, ogni altro esito è inconcepibile. Nella relazione infatti pare si indichino delle concause che potrebbero spiegare dati anomali sulle malattie nell'area di Taranto, fra cui il diffuso smercio di sigarette di contrabbando che vedono nel porto pugliese uno dei principali centri di importazione di tabacco non trattato e quindi nocivo. La teoria del resto non è nemmeno nuova, ne ha fatto cenno per esempio in altre occasioni il professor Franco Battaglia e anche altri studiosi hanno in passato fatto rilevare che l'Ilva non è certo l'unico «agente inquinante» della città, come stabilì la relazione del servizio ciclo rifiuti e bonifica dell'assessorato all'ambiente datata 2011 dove si evidenziavano le responsabilità dell'Arsenale Militare della Marina nell'inquinamento delle acque. Non importa.
Prima ancora di leggere la relazione, la semplice indiscrezione su contenuti difformi dalla «voce del popolo» che vuole l'Ilva come origine di tutti i mali del mondo è stata sufficiente persino ad infangare l'icona Enrico Bondi che ieri si è dovuto profondere in distinguo, smentite e precisazioni. L'Ilva è morte e non la vogliamo. I rigassificatori non si devono fare. I rifiuti e le discariche non ne parliamo, non appena si pensa ad aprirne una ecco che i tumori si impennano e tutti trovano un morto in casa la cui fotina esibire in favore di telecamere anche se fosse il nonno quasi centenario. Le relazioni scientifiche servono solo se funzionali alla tesi: quando dimostrano che certe baggianate come gli ecoblocchi del traffico non hanno alcun impatto ecco subito i sindaci come Pisapia a Milano affermare che è vero, contro l'inquinamento non servono ma si faranno lo stesso per «educare i cittadini». L'ambiente è importantissimo e bisogna essere inflessibili contro l'inquinamento, specialmente se doloso, però la salute dei cittadini passa anche attraverso la prosperità economica. Nei paesi sottosviluppati non c'è mezza fabbrica e l'aria è cristallina, però i bambini muoiono come mosche. Ogni anno gli incidenti stradali causano 1,24 milioni di morti ma nessuno pensa di vietare le automobili. Un'economia industriale passa anche per cose che puzzano come centrali, fabbriche e rifiuti.
Secondo la rilevazione 2013 di Legambiente delle 10 città più inquinate d'Italia 9 sono in Pianura Padana (con il non invidiabile primato di Alessandria) e l'unica «intrusa» non è Taranto, bensì Frosinone, eppure l'aspettativa di vita in Nord Italia è fra le più alte al mondo. Le paure irrazionali vanno governate perché la salute è fondamentale ma non cade dal cielo, bisogna guadagnarsela.twitter: @borghi_claudio
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