Ius scholae, Arianna e Israele: vi dico la mia

La dirigenza di questa testata, sulle due o tre cose decisive per cui vale la pena essere giornalisti (oltre alla paga), è un corpo e una testa sola

Ius scholae, Arianna e Israele: vi dico la mia

La settimana appena trascorsa è stata, ed è ancora almeno in Italia - dominata da tre notizie. Le metto in ordine cronologico e poi su ciascuna dico la mia, che in quanto tale è irrilevante anche per i miei parenti, ma a 81 anni rivendico lo ius senectutis, il diritto della vecchiaia. Cosa che purtroppo non interessa nessuno, né a destra né a sinistra.

1) La rivelazione di Sallusti su quel che sta covando la magistratura, in combutta con la sinistra mediatica e politica: un'indagine per traffico di influenze atta a tagliare le gambe ad Arianna Meloni che nella caduta trascinerebbe la sorella Giorgia.

2) Forza Italia, improvvisamente, per bocca di Antonio Tajani ha lanciato l'idea di cittadinanza italiana come diritto per i minori immigrati che abbiano frequentato e avuto la sufficienza alle scuole elementari: lo «ius scholae». Da qui Salvini, contrario.

3) La lista dei bersagli da colpire confezionata e diffusa dai para-brigatisti rossi del Carc (Comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo) con i nomi di chi appoggia «l'Entità sionista», cioè Israele. E che comprende tutta, ma proprio tutta la dirigenza e il pacco firme del Giornale. A quale scopo? Quello che state pensando.

Mi è utile partire dall'ultima notizia, quella con il numero 3. Essa conferma che i comunisti antisemiti sono disgustosi e fanno schifo, ma hanno ragione a mettere noi del Giornale compattamente in un solo mazzo di amici degli ebrei. La dirigenza di questa testata, sulle due o tre cose decisive per cui vale la pena essere giornalisti (oltre alla paga), è un corpo e una testa sola. Sulla scena del mondo c'è una gran confusione, ma su Israele, come un sol uomo, non ammettiamo ignoranza. Sentirsi parte di questa nazione e popolo, è costitutiva della nostra storia e identità quale per i tre moschettieri (+ D'Artagnan) difendere la Regina. Il Giornale, infatti, è una monarchia fondata sull'amore per Israele.

Aggiungerei un paio di altre pietre angolari che accomunano questa squadra, e ci legano a Montanelli, almeno fino a quando è rimasto nelle stanze del quotidiano da lui fondato. L'impossibilità di essere di sinistra: con l'olfatto, con la mente, con la grammatica. Noi come i nostri lettori. Definii questo principio non negoziabile del Giornale, e della sua comunità di pagati e di paganti con questa formula: peggio della destra c'è solo la sinistra. Mi toccò dimostrarlo a Montanelli quando, sognando una destra con la testa capovolta, creò la Voce e qualche mese dopo andò alla Festa dell'Unità facendosi fotografare sotto il simbolo della Quercia di Occhetto. I lettori tornarono tutti da noi, e dovette chiudere baracca e burattini (anche se i burattini circolano ancora a far danni). C'è un altro dogma che Montanelli, che l'aveva coniato, dimenticò pur di piacere alla sinistra sinistra, e scontò sulla sua pelle: il dichiarare i lettori come i padroni del Giornale. Lo ridico da direttore editoriale a nome anche di Sallusti, ben sapendo che tra i nostri lettori ci sono anche gli editori.

Mi tocca riaffermare con piacere la solidità di queste tre colonne sulle quali poggiamo concordemente e solidamente. Lo faccio anche per tagliar corto con le dicerie per me incomprensibili che mi vedrebbero in dissenso con Alessandro Sallusti sulla linea che lui dà al Giornale. Falso. E lo confermo a proposito delle notizie che ho catalogato come numero 1 e 2. Sullo «ius scholae» ritengo come ben scritto da Sallusti nell'editoriale di ieri - sia erroneo anche solo discuterne tra partiti del centrodestra. Tirar fuori e litigare sulla questione è un diversivo, dormiva da anni, e la gente comune non sa neanche cos'è: oggi come ai tempi di don Abbondio il latino è diventato latinorum per fregare i poveretti. Mi colpì una vignetta di qualche anno fa vista su Repubblica. Un tipo diceva a un nero: «Ma tu sei italiano». «Sì, per lo ius scholae». «Vedi che non parli neanche la nostra lingua». In realtà ius scholae si può leggere in due modi: diritto della scuola, cioè il diritto che nasce dall'aver frequentato la scuola (genitivo); e diritto alla scuola (dativo), ma quello di frequentarla ce l'hanno già i minori stranieri, è sancito dalle carte Onu. E allora di che parliamo?

Ed eccoci alla notizia 1, cui il direttore ha dato il titolo della prima pagina di domenica scorsa. Non c'è dubbio: è uno scoop, tant'è che di essa hanno dovuto occuparsi in prima pagina quotidiani cartacei, televisivi ed elettronici. Non c'è smentita che tenga. La sua verità consiste nella verosimiglianza. E dalla credibilità della fonte a doppia prova del nove. Sallusti conosce più della concorrenza gli ingranaggi della macchina da guerra per far fuori gli avversari politici in voga da Mani Pulite in poi: è il sistema che lega pm-cronisti-partiti (di sinistra tutti e tre). Alessandro non solo ha scritto due libri di grande successo sul tema con il maggior esperto dell'argomento, il protagonista pentito Luca Palamara. Ma da prima, dai tempi in cui era con Goffredo Buccini al Corriere della Sera diretto da Paolo Mieli, ha conoscenze come nessun altro in tutti questi ambiti. E sa mantenere il segreto professionale. Il panorama che ha illustrato è quello del pollaio con la gallina che si accinge a fare l'uovo. Svelare la trama in corso forse farà sì che la cospirazione rientri, oppure no, ed essa sta ancora rotolando a valle. Vedremo. Del resto, il mondo è da sempre teatro di congiure. Giulio Cesare ebbe il torto di non crederci. Finì con trentatré pugnalate, mi pare. Io alla trama raccontata da Sallusti presto fede. Con lui lavoro da 25 anni, l'ho assunto un paio di volte, ci siamo divisi e ricongiunti altrettante. Non concordo qualche volta sulla sua punteggiatura, ho il torto di scherzarci, lui rispetta invece persino le mie virgole.

Ma sulle notizie e sulla linea, e lo dimostra la storia, mi sono sempre fidato. E lui di me. E ne portiamo entrambi le cicatrici.

Sintesi in latino: hic manebimus optime. Traduco: qui stiamo e qui, ottimamente, restiamo.

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