L'articolo sotto accusa: duro, ma è un'opinione

Il magistrato che ha querelato Sallusti: "Diffamazione deliberata". Non è vero. Il commento, infatti, non citava il diffamato. Ora è su tutti i giornali

Oggi Alessandro Sallusti è a un passo dal carcere per un articolo pubblicato da Libero il 18 febbraio 2007. Più di cinque anni fa. In quei giorni le cronache raccontano la storia drammatica di una ragazzi­na torinese di 13 anni che si è rivol­ta al giudice tutelare per poter abortire. Il padre è contrario, la madre favorevole, certo a 13 anni non si può decidere da soli. Il magi­strato, Giuseppe Cocilovo, dà l’ok alla richiesta e il corsivista di Libe­ro si scaglia contro di lui con toni molto duri..Un giudice-argomen­ta l’autore del commento che si fir­ma Dreyfus­ ha ascoltato le parti e ha applicato il diritto- il diritto- de­cretando: aborto coattivo». Poi Dreyfus si lancia in un’invettiva: «Qui ora esagero, ma prima doma­ni di pentirmi, lo scrivo: se ci fosse la pena di morte, e se mai fosse ap­plicabile in una circostanza, que­sto sarebbe il caso.

Per i genitori, il ginecologo, il giudice. Quattro adulti, contro due bambini. Uno assassinato, l’altro (in realtà) co­stretto alla follia». I toni, come si vede, sono senza sfumature ma va detto che l’autore-che certo non è Sallusti - voleva toccare le corde dell’anima,non si proponeva una nuda cronaca ma appunto una ri­flessione ustionante e controcor­rente su una notizia che aveva scosso e diviso l’opinione pubbli­ca. E su un tema controverso e sci­voloso. Certo, come sottolinea la Cassazione in una nota pubblica­ta ieri sera, così come era presenta­ta «la notizia era infondata».O me­glio, non è che la ragazza fosse sta­ta costretta ad abortire da tutte le persone che le stavano intorno. La madre, circostanza che Dreyfus evidentemente non cono­sceva, era a favore dell’interruzio­ne di gravidanza.

Dreyfus nel suo affondo non co­nosce le mezze misure, le sfuma­ture, i colori intermedi. Va a quel­lo che per lui è il nocciolo del pro­blema: una bambina, almeno per l’anagrafe, che per una decisione degli adulti che ne sanno più di lei e detengono il potere, è costretta a strapparsi di dosso la vita che si porta dentro. Si può essere d’ac­cordo oppure no, ma il problema diventa un altro: la falsificazione di quel che era realmente accadu­to. Come ha spiegato ieri sera, su­bito dopo la sentenza, Giuseppe Cocilovo ai microfoni del pro­gramma La zanzara di Radio 24: «L’unica cosa cui tenevo è che fos­se ristabilita la verità dei fatti... Io non ho ordinato nessuna aborto e il quotidiano non ha pubblicato nulla per ripristinare la mia digni­tà personale». Cocilovo aggiunge che lui «la sua proposta per rimet­tere la querela l’aveva fatta: 20 mia euro da devolvere a Save the chil­dren, ma Sallusti ha rifiutato». Sal­lusti, come si sa,ha risposto in mo­do tranchant all’offerta: «La mia li­bertà non è in vendita».

Colpisce però un altro passag­gio delle dichiarazioni di Cocilo­vo ed è quando parla di «diffama­zione deliberata che ora diventa un attentato alla libertà di stam­pa ».

Difficile obiettivamente an­dargli dietro e sia detto senza la re­torica del martirologio corporati­vo; nell’articolo il suo nome non c’era.E i lettori del giornale lo igno­ravano. Oggi Cocilovo è in pagina su tutti i quotidiani italiani.

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