In nome del popolo italiano, giustizia è fatta. Il lungo e tormentoso calvario di un povero cittadino palermitano, oltre tutto minorenne, ottiene finalmente il meritato riconoscimento: la sua trinariciuta insegnante di lettere Giuseppa avrà di che meditare sui propri metodi disumani e bullisti. Condannata a quindici giorni di carcere, che purtroppo non sconterà grazie ai famigerati benefici della condizionale. Ma siccome questa è una pura questione di principio, può bastare l'indelebile macchia sulla reputazione e sulla carriera dell'aguzzina. Il verdetto questa volta è definitivo, controfirmato solennemente dalla Cassazione. Il giovane cittadino di scuola media riscatta trionfalmente l'umiliazione subita in una brutta mattina del 2007, quando diede simpaticamente del frocio a un compagno più debole, facendolo piangere davanti a tutti. Che sarà mai? Ha mai sentito la prof il frasario nei più amati talk-show e i convenevoli nelle più serrate discussioni parlamentari? L'ottusa insegnante, quel giorno, avrebbe potuto e dovuto compiacersi di allevare un perfetto italiano in erba, pronto ad affrontare il domani con i requisiti giusti, perfettamente lanciato verso una sicura affermazione sociale. Invece, vittima della sua ridicola idea di disciplina e dei suoi anacronistici valori pedagogici, o forse semplicemente vittima di un'imperdonabile rabbia, la professoressa non trovò di meglio che mortificare il giovane cittadino italiano, costringendolo a scrivere cento volte «io sono un deficiente», dal verbo deficere, cioè mancare di qualcosa, che so, di rispetto, di sensibilità, di educazione, insomma di tutto quel ciarpame antico che ormai oggigiorno è solo d'intralcio. Sono ore storiche per la Repubblica. L'hanno già trionfalmente definita la prima condanna di un insegnante per bullismo. Farà giurisprudenza. Altre ne seguiranno, i giudici di tutta Italia certamente si uniformeranno. La Cassazione spiega indignata come costituisca «abuso punibile il comportamento che umilia, svaluta, denigra o violenta psicologicamente un bambino, causandogli pericoli per la salute, anche se compiuto con una soggettiva intenzione educativa».
In linea puramente teorica è una sentenza esemplare, da convenzione sui diritti del fanciullo. Purtroppo, non risulta altrettanto chiara sui diritti dell'altro fanciullo, quello che si è sentito dare sprezzantemente dell'invertito davanti a tutti i compagni, piangendo dolorose lacrime di umiliazione. In definitiva, cosa vuole: anziché frignare, impari a stare al mondo. Gli avesse rifilato uno sganassone sui denti, non saremmo qui a discuterne. Invece. L'insegnante Giuseppa non si deve permettere di usare certi metodi con l'alunno bullo, nemmeno se questo risulta l'unico linguaggio compensibile a certi tangheri junior, cresciuti alla sola lettura del libro della jungla, ma non quello di Kipling. Anche gli insegnanti meritano una tutela? Via. Se sono stressati, vadano dallo psichiatra. Se non reggono le angherie di certa marmaglia coattamente scolarizzata, si diano al bridge. Se però vogliono fare a tutti i costi questo mestiere, vedano di adeguarsi. È finita l'epoca in cui gli insegnanti menavano sberle e il giorno dopo si ritrovavano alla porta i genitori del percosso a manifestare sincera gratitudine, professore ha fatto bene, e mi raccomando, quando serve, non esiti. Oggi l'educazione è un'arte raffinatissima: si tratta di sopportare tutto in silenzio, lasciando che gli istinti si manifestino e si sviluppino liberamente, nel pieno rispetto delle giovani personalità in formazione. E se qualche volta all'insegnante saltano i nervi, finalmente c'è chiarezza: ne risponde in sede penale, con condanne esemplari.
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