Liguria in rivolta per difendere le proprie auto blu

La Regione rossa di Burlando si mette di traverso: «Le cilindrate le decidiamo noi». E fa ricorso alla Consulta

Liguria in rivolta  per difendere  le proprie auto blu

No, la cilindrata non si tocca. Altrimenti l’autonomia della Regione Liguria dove va a finire? Sembra impossibile, ma la Corte costituzionale deve occuparsi, manco fosse un meccanico, dei centimetri cubici delle auto blu. Tema nobilissimo, come si può facilmente comprendere, che potrebbe mettere a repentaglio i già tesi rapporti fra Roma e Genova. Non che altrove le cose siano diverse: ormai la Consulta è letteralmente presa d’assalto dalle regioni, del Nord o del Sud fa poca differenza, che ricorrono su tutto il ricorribile. E che di fatto sventolando altissime ragioni combattono contro i tagli alla (loro) spesa che, infatti, come documentavano l’altro ieri sul Corriere della Sera Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella è cresciuta fra il 2000 e il 2009 da 119 a 209 miliardi di euro e rappresenta ormai più di un quarto della spesa pubblica italiana, attestata a quota 727 miliardi.

Così, di capitolo in capitolo, il 18 aprile scorso, poco più di una settimana fa, l’Alta corte, nelle vesti di arbitro, ha ascoltato gli avvocati della Regione Liguria, governata da una giunta di centrosinistra guidata dall’ex ministro dei trasporti Claudio Burlando e quelli della presidenza del Consiglio. Oggetto della contesa: la presunta invasione di campo del governo che col decreto legge 98 del 6 luglio 2011 aveva fissato regole stringenti per calmierare i costi e mettere un argine al proliferare delle auto blu. Dunque, Tremonti aveva cominciato con l’imporre un tetto alle cilindrate: vietato mettersi alla guida di berline con un motore superiore ai 1600 cc. Un’osservazione di puro buonsenso, specialmente in tempi grami come questi con la crisi che morde, la pubblica amministrazione che taglia i servizi, anche quelli essenziali, e la gente che ingoia tasse e sacrifici.

La Liguria l’ha presa male, non si è piegata al clima di austerità nazionale e ha impugnato l’articolo 2, commi 1, 3 e 4 del decreto legge. In sostanza, l’idea è di far saltare la politica del rigore ordinata da Tremonti negli ultimi mesi in cui era ministro dell’Economia. Per la Regione Liguria non è tollerabile che sia stabilita da Roma la cilindrata massima cui aspirare, non è accettabile nemmeno il divieto di sostituire le auto blu con altre vetture ancora più blu e neppure l’obbligo di tenerle fino alla rottamazione o alla dismissione. Insomma, non va bene niente.

A parole, tutti i governatori e presidenti dicono di condividere le scelte coraggiose pensate per contenere i costi e ridurre gli sprechi, ma quando si passa ai fatti la musica cambia. La spending review, la mitica revisione della spesa, va bene per gli altri. E solo per loro.

Le auto blu sono citate di continuo da leggi e decreti che ne propongono ossessivamente la riduzione, la razionalizzazione e quant’altro. Sì, le auto su cui sfrecciano i nostro politici sono equiparate ad un nemico pubblico, sempre in cima alla liste dei tagli. Poi, cifre alla mano, si scopre l’esatto contrario: sono ancora sessantamila e costano, a stare bassi, 2 miliardi di euro l’anno. Anzi, come ha raccontato nei giorni scorsi Il Giornale, anche il governo doveva sentirne la mancanza, perché a gennaio, alla chetichella, sul sito del ministero dell’Economia è comparso un bando di gara per l’acquisto di altre quattrocento auto - naturalmente di cilindrata non superiore ai fatidici 1600 cc - con spesa prevista di 10 milioni di euro. Palazzo Chigi, come ha detto Antonio Borghesi dell’Idv, è stato pescato con le mani nella marmellata, ha rimediato una figuraccia ed è corso ai ripari spiegando che si era trattato di un equivoco. L’acquisto è stato subito derubricato ad accordo quadro.

E il governo, già che c’era, ha invitato «le amministrazioni territoriali» a fare altrettanto, adottando «un’analoga impostazione». La risposta è arrivata a stretto giro di posta da Genova. L’autonomia è sacra e inviolabile. Come il portafoglio che, pure, è mezzo vuoto.

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