Nell'organismo della politica circolano ancora le ultime scorie del grillismo deteriore, quello dell'«uno vale uno». Tutti uguali, dal banchiere centrale al miracolato mandato in Parlamento con tre clic e un gazebo con le sedie da picnic.
Nell'opinione pubblica anticasta, è rimasto il riflesso incondizionato dei soldi ai politici, sempre ritenuti troppi, ingiustificati e immeritati. Spesso, purtroppo, è così. Ma nel dibattito sui costi della vita pubblica non si può continuare a gridare contro le buste paga di eletti e governanti. Questi, soprattutto, sono stati linciati per l'ipotesi, poi rientrata, di aumentare lo stipendio a quei ministri e sottosegretari (17 in tutto) che non percepiscono l'indennità parlamentare.
Appena divenuti premier, seppure in epoche diverse, sia Mario Monti che Mario Draghi si affannarono a precisare di avere rinunciato allo stipendio da presidente del Consiglio, forse per calmare i bollori di una piazza allergica a ogni tipo di salario pubblico.
È un tema datato, nato al crepuscolo della Prima Repubblica, quello della retribuzione del premier e dei ministri tecnici o esterni. In sostanza quelli non eletti in Parlamento, dove l'indennità, i rimborsi e la facilità di viaggiare costituiscono la base per fare politica a tempo pieno, soprattutto ai cittadini con pochi mezzi economici.
Guai allora porsi il problema con i vari Crosetto (imprenditore e manager pubblico), Piantedosi (un super prefetto ai vertici della macchina dello Stato), Schillaci (uno scienziato) per citare tre ministri su otto. A captare il mugghiare della piazza mediatica, costoro vengono già messi alla berlina per un compenso di diecimila euro lordi al mese, uno stipendio da calciatore delle serie minori. È troppo percepire qualche migliaio di euro per occuparsi della guerra in Ucraina e Medioriente oppure della gestione dell'ordine pubblico? Non è giusto considerare un ministro alla stregua di un volontario fortunato che viene addirittura pagato. Un ruolo di governo - gravido di onori ma soprattutto oneri - non va considerato alla stregua di un ramo secco da tagliare.
Per i ministri non ci sono valutazioni dirette sull'operato al di fuori di quelle dei cittadini che dispongono del potere di sanzionarli alle urne, anche se le segreterie di partito hanno sovente riproposto personaggi che avevano totalmente fallito.
Il ritiro dell'emendamento sull'aumento della paga dei governanti senza seggio parlamentare suona come una resa ai guardiani della moralità pubblica. Se era stato ritenuto uno strumento per correggere disparità tra i membri di governo, la maggioranza avrebbe dovuto difenderlo, se non rivendicarlo.
Per troppi anni si sono viste scene poco consone all'alto magistero delle cariche dello Stato, costrette dal mainstream anticasta a viaggiare in classe economy in aereo o perdere la giornata in qualche ambulatorio periferico per vaccinarsi contro il Covid senza passare davanti a nessuno.Grillo è finito, Casaleggio idem, e Conte non sta molto bene politicamente. Se il Palazzo si crede nel giusto difenda le proprie scelte. Guai a rimangiarsele con imbarazzo per paura di un banale shitstorm sui social.
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