Il manager legato a Cl: «Formigoni resterà sempre mio amico»

Il manager legato a Cl: «Formigoni resterà sempre mio amico»

MilanoSono le 9 del mattino, quando si aprono le porte di San Vittore. Un capannello di giornalisti aspetta Antonio Simone, 58 anni, ex assessore lombardo alla Sanità arrestato con l'accusa di aver munto circa 60 milioni di euro dalla fondazione Maugeri, holding ospedaliera convenzionata con la Regione. La barba fatta, i capelli curati, una camicia azzurra come quella che indossa nella foto pubblicata per settimane sui giornali. Una giacca chiara, il tono di voce si direbbe sereno. A vederlo non sembra, ma da quando è finito in carcere sono ormai passati sei mesi.
Esce di cella, Simone, perché è scaduto il termine massimo per la custodia cautelare, e perché il gip di Milano ha respinto la richiesta di una proroga di 90 giorni che la Procura aveva avanzato per poter svolgere nuovi interrogatori a funzionari pubblici, terminare l'analisi della documentazione bancaria acquisita durante l'indagine, e aspettare l'esito di alcune rogatorie internazionali. «Queste mura dovrebbero essere abbattute per vedere quello che c'è dentro - dice l'ex assessore lasciando il penitenziario - è stata comunque un'esperienza positiva che però non auguro a nessuno». Mura da abbattere perché «in carcere c'è una vera umanità. Lascio un posto di grande umanità, queste mura andrebbero tolte per mostrare l'umanità che c'è qui dentro, che è migliore di quella fuori». Quanto alle accuse che gli muovono i pubblici ministeri milanesi Laura Pedio, Gaetano Ruta e Antonio Pastore - quei 60 milioni sottratti alla Maugeri che sarebbero serviti per «pagare alti funzionari della regione affinché la giunta confezionasse delibere ad uso e consumo della Fondazione - Simone le liquida con una battuta. «Prima si cominci a fare bene i conti, poi vediamo». Quindi, una considerazione sullo stato del Paese. «La società e la politica sono peggiorate. La politica è peggiorata perché è peggiorata la società, peggio di Tangentopoli, non parlo di me, io continuo a professarmi innocente». Infine, due parole sul governatore lombardo Roberto Formigoni (indagato per corruzione) che secondo i pm avrebbe favorito con quindici delibere regionali l'azienda ospedaliera di Pavia, cui il Pirellone avrebbe versato tra il 2010 e il 2011 circa 200 milioni per le cosiddette «funzioni non tariffabili». «Sono un grande amico di Formigoni, da sempre, e continuerò a esserlo». E pochi minuti dopo che Simone è uscito da San Vittore, arrivano le parole del governatore lombardo. Polemico, Formigoni, sulla custodia cautelare, diventata «una tortura» che in questo caso «ha superato il record di Mani Pulite». Ma felice per la sorte dell'ex assessore ciellino. «Temo di non avere tempo di andarlo a trovare nei prossimi giorni - dice in un'intervista a Radio 24 -, ma è una notizia di cui ho gioito». Un sentimento ribadito via Twitter. «Antonio Simone fuori dal carcere di San Vittore. Grande gioia».
Per un indagato che esce, però, un secondo resta in cella. È il caso di Pierangelo Daccò, 56 anni, l'altro lobbista della sanità regionale arrestato il 15 novembre del 2011 per il crac - solo sfiorato - dell'altro colosso ospedaliero lombardo, il San Raffaele, e sotto inchiesta anche per la vicenda Maugeri.

Il 3 ottobre scorso, Daccò è stato condannato con rito abbreviato a dieci anni di reclusione per associazione a delinquere e concorso in bancarotta fraudolenta. Dieci anni, il doppio di quanto aveva chiesto la Procura. Secondo il suo legale, l'avvocato Giampiero Biancolella, «un'enormità».

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