Potremmo darlo in pasto agli avvoltoi. O trascinarlo in giro per le città dietro a una muta di cavalli al galoppo. Farne scempio, infierire con piena soddisfazione. Ne siamo convinti: non c'è peccato, non c'è colpa, non c'è crudeltà a infierire su certi cadaveri. Tipi satanici come Priebke si meritano di tutto: qualunque sadismo ci possiamo inventare, sappiamo di restare comunque a credito.
Allora forza: non essendo in fondo così barbari, rifiutiamoci quanto meno di fargli il funerale. È una vendetta postuma, ma può servire a placarci un poco la rabbia. Però mi chiedo: davvero poi ci sentiremo tutti meglio? Certo nessuno di noi vorrebbe essere nei panni del religioso o dell'autorità civile chiamato ad accompagnare un boia al cimitero. Eppure bisogna farlo. Dovrebbe farlo qualunque religioso, risparmiandosi magari discorsi del tipo «anche in questo fratello c'era del buono», demandando al Supremo Giudice la vera pratica del processo finale.
Ma dovrebbe farlo anche una qualsiasi autorità civile, nel caso di esequie laiche, evitandosi tranquillamente frasi di circostanza e generici eufemismi, limitandosi al dovere d'ufficio di un atto dovuto. Un fatto è certo: la bara di Priebke non deve comunque scatenare imbarazzi e pudori.
È un segno di terribile debolezza prendere le distanze anche da una salma. È un segno di resa infierire sui poveri resti, abbandonandoli alla gogna pubblica, come usava quando il peggiore dei nemici - magari soltanto la sua testa - veniva esposto al dileggio e all'umiliazione.
Non sono più quei tempi e quei mondi primitivi. Se non siamo in grado di fare un funerale a Priebke, persino a Priebke, mi chiedo a cosa siano serviti secoli di umanesimo e di progresso della civiltà. Noi non dobbiamo scantonare davanti al suo feretro: possiamo starci tutti quanti a busto eretto, contrapponendo alla sua farneticante scala di valori e al suo delirante testamento la bellezza della vera civiltà.
Non c'è bisogno di perdonare, basta il minimo rispetto per un morto. Mi rendo conto che questa può passare come la difesa di un essere abietto, del peggiore degli uomini. Ma non è così, non è questo.
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