La lunga crisi dell'automobile che stiamo attraversando potrebbe portarsi via anche il marchio Bertone, un patrimonio del design made in Italy, famoso nel mondo al pari di Ferrari, Pininfarina o Maserati e una firma che ha accompagnato la storia dell'automobile per oltre un secolo.
Da novembre, infatti, i libri della Stile Bertone Spa di Caprie, in provincia di Torino, si trovano presso il tribunale del capoluogo piemontese per una richiesta di concordato che, nei prossimi giorni, potrebbe però essere respinta aprendo, di fatto, il fallimento dell'azienda. A portarla al capolinea c'è l'ultimo di una serie di amministratori scelti da Lilly Bertone, settantasettenne vedova del grande Nuccio (figlio del fondatore Giovanni, classe 1914, scomparso nel 1997, tre anni prima della sua scomparsa aveva fatto firmare alla moglie un impegno a portare avanti l'azienda almeno fino al centenario celebrato nel 2012), che non sono riusciti a tenere in vita le solide collaborazioni della Carrozzeria Bertone, il cuore industriale del brand, con i costruttori automobilistici, da quella storica, con l'Alfa Romeo interrotta nel 2003 a quella con la Opel terminata qualche anno dopo, un declino che ha portato alla cessione dello stabilimento della Carrozzeria al Gruppo Fiat che lo ha trasformato nella fabbrica modello da dove escono le Maserati Ghibli e Quattroporte.
Dal 2010 alla guida di «Stile Bertone» c'è Marco Filippa, un giovane manager che ha saputo conquistarsi la fiducia della signora Bertone arrivando a ricoprire contemporaneamente le cariche di Amministratore delegato, Direttore Finanziario e responsabile degli acquisti, non male per una persona senza esperienze specifiche nel settore dell'auto che, tuttavia, ha saputo portare l'azienda a buoni risultati nel 2011 e nel 2012. La sorpresa è arrivata alla fine del primo semestre del 2013 chiusosi con un passivo accertato di 18 milioni e la conseguente richiesta di concordato, una voragine di debiti difficilmente spiegabile per un'azienda con un portafoglio ordini stimato in 9 milioni rappresentati dalle commissioni per progetti di vetture «chiavi in mano» e dai primi ordini dell'affascinante fuoriserie Aston Martin Rapide Bertone presentata al salone di Ginevra del 2013.
Potrebbe dunque essere il giudice a cedere quello che resta del brand torinese a uno dei tanti pretendenti che si sono fatti avanti con richieste sempre respinte da Lilly Bertone, che non ha mai accettato di cedere il solo brand senza la fabbrica, mandando a casa quegli operai che, come ha sempre dichiarato, sono il primo dei suoi pensieri. Peccato che nessuna delle case cinesi, sempre più attive nello shopping di marchi europei, se la sia sentita di farsi carico di quel centinaio di addetti altamente specializzati della «Stile Bertone», puntando esclusivamente sul marchio, un comportamento che ha sollevato molte perplessità nel settore delle quattro ruote lasciando il dubbio che, forse, delle offerte ci siano state. Dal tracollo finanziario si salverà, per fortuna, il Museo Bertone di Caprie, un gioiello espositivo che è già sotto la tutela del Ministero dei Beni Culturali e non potrà quindi essere inserito nell'eventuale fallimento.
Ancora una volta è stata decisiva Lilly Bertone che ha messo insieme una straordinaria collezione di oltre 80 modelli, quasi tutti comprati da privati («la più difficile da trovare», racconta la signora Lilly «è stata la Giulietta Sprint, l'auto che aveva mio marito quando ci siamo conosciuti»), capolavori come le Lamborghini Miura e Countach, la Lancia Stratos e l'Alfa Romeo Montreal, usciti da quella bottega di design e stile dove hanno mosso i primi passi designer come Marcello Grandini e Giorgetto Giugiaro.
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