Monti esodato, parte la diaspora dei voti

Montezemoliani verso Renzi, molti centristi già con un piede nel Pdl. E c'è chi vede dietro l'addio al partito il tentativo di scalare il Colle

Il presidente del Consiglio Mario Monti
Il presidente del Consiglio Mario Monti

Roma - Addio Monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo... Non ha nulla di aulico o crepuscolare, però, nulla che meriti una penna manzoniana, la parabola mesta di Mario Monti che sta per giungere all'epilogo. Piuttosto storia minore d'Italia, e molto baronale, di un professore assurto alla politica con mire elevate ma con divoranti ambizioni terra terra.
Il premier in carica per gli affari ordinari abbandona la navicella di Scelta civica al suo destino. Troppi rancori, troppe beghe interne. Non si può nemmeno essere certi che si tratti di addio definitivo, non potendo escludere persino il gesto disperato di liberarsi della zavorra per tentare in extremis l'arrivo al Quirinale in mongolfiera. Eppure fa tristezza, l'ultimo degli esodati trascurati dalla Fornero, che decide di far togliere il nome dallo statuto e persino dal simbolo della lista che ha fondato. Senza Monti non ci sono neppure più montiani, se non nel senso approssimativo di centristi in cerca di acquartieramento, considerato che il Prof non lascia in eredità una dottrina, un'ideologia, un orizzonte, ma solo una recessione, una probabile manovra economica e il disperante sospetto che la politica fatta dai tecnici è persino peggio di quella praticata dai politici.
Scelta che lascia in braghe di tela i volontari saliti sul taxi per sostenere la sua scalata pubblica, già divisi in almeno tre frange litigiose e incerti ora sul da farsi, specie alle prossime amministrative. È noto che molti montezemoliani guardano alle mosse di Renzi per acconciarsi, altri (specie in Lombardia) hanno già un piede nel Pdl, mentre Riccardi pensa al partito cattolico. Ma non è detto assieme all'Udc di Casini, il più deluso e pentito - però anche il più velenoso nei contraccolpi - dell'annichilimento montiano. Un'intervista nella quale ammetteva l'errore, «il più grande della mia vita politica», pare che sia stata l'ultima goccia nel vaso già colmo di amarezza del premier. Dall'insuccesso delle sue ricette di governo alla sensazione di ingratitudine nutrito da Monti; dalle reprimende di Napolitano all'insofferenza nei confronti delle dinamiche spicciole di gruppi eterogenei che aspiravano a ben altre spartizioni, l'esperienza montiana finisce tra risentimento e minacce. «Non resto a fare lo zimbello, se volete vado via subito» disse alla prima riunione con deputati e senatori. Un crescendo di malumori, fino allo sfogo: «Non vedo l'ora che finisca tutto».
Ofelé fa il tò meste', si dice a Milano. Monti in fin dei conti prende atto, con colpevole ritardo, che quello di capo partito «non è il mio mestiere». Ieri, dopo un'anticipazione del Corsera, pare abbia cercato di rassicurare i suoi.

«Nessun disimpegno», si sono affrettati a far sapere gli stessi parlamentari in procinto di abbandonare la nave. Ora forse seguirà un messaggio dell'ex Capo che vuole trascendere a padre nobile. Non sembra possa trattarsi di un «Torno a bordo, cazzo». Meglio a casa, miseria ladra.

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