Primo comandamento: concordare le versioni. Così, per evitare imbarazzi superflui. Perché ieri faceva un certo effetto vedere da una parte Pier Luigi Bersani (e con lui il responsabile economico Stefano Fassina, e il tesoriere Francesco Misiani) assicurare che «il Pd fa il Pd, e le banche fanno le banche», e che tra il suo partito e il Monte dei Paschi non c'è stata alcuna commistione scivolosa di ruoli o di interessi, e dall'altra sentire Massimo D'Alema. Che, secondo un titolo a tutta pagina della Stampa, rivendica con orgoglio che «il presidente del Monte lo abbiamo cambiato proprio noi».
Sì, dice proprio così nei virgolettati riportati dal quotidiano torinese: «Noi, e per noi intendo il Pd di Siena nella persona del sindaco Franco Ceccuzzi, Mussari lo abbiamo cambiato un anno fa, assieme a tutto il consiglio di amministrazione del Monte dei Paschi. Questi sono fatti documentati». Anzi, incalza D'Alema, Ceccuzzi (che però di Mussari era amico e compare di nozze, e che da segretario dei Ds senesi, e poi da parlamentare Pd ne sostenne l'ascesa ai vertici del Monte) per cambiare presidente «si è giocato la poltrona» da sindaco (per uno scontro sulla divisione delle nomine in Mps con gli ex Dc del Pd: ma niente paura, ora è di nuovo candidato).
Certo, poi D'Alema ieri mattina ha meglio precisato, spiegando che «il sindaco non è il Pd», e che «è naturale che l'amministrazione comunale di Siena, essendo parte della Fondazione Montepaschi, si occupi del Monte dei Paschi, è il suo compito», ma insomma il merito di aver cambiato Mussari con Profumo, di riffa o di raffa, è del Pd.
Un merito che Bersani, per l'appunto, si guarda bene dal rivendicare: «Il Pd fa politica, non si occupa di banche», ripete da 48 ore, assicurando che sul caso Mps nel suo partito c'è «preoccupazione, sì, ma nessun imbarazzo». Ma che gli «sciacalli», a cominciare da Ingroia, siano al lavoro per gettare fango sul centrosinistra e per «strumentalizzare questa vicenda chiamando in causa il Pd» ci pensa Stefano Fassina a denunciarlo. Negando drasticamente che lo scandalo sia - anche - un caso politico: «Non c'è nessuna matrice politica». E lo stretto nesso tra Fondazione e Banca? «Mps ha un legame con la sua fondazione di origine bancaria come ce l'hanno tutti i grandi istituti di credito», dice Fassina. Nel Cda senese, detto Deputazione, però, ben quattrodici membri sono indicati da Comune, Provincia e Regione (tutti governati dal Pd), gli altri due sono scelti dall'immancabile Vescovo e dall'Università, già feudo di Luigi Berlinguer.
A Misiani, invece, tocca affrontare un altro versante spinoso della faccenda: quei 683.500 euro versati da Mussari a Ds e Pd negli ultimi dieci anni: «Sono erogazioni liberali e regolarmente dichiarate, fatte a titolo personale», dice il tesoriere del Pd. «Non ci vedo nulla di strano. Bisogna separare i piani. Un conto sono le convinzioni politiche di un privato cittadino, che possono portarlo a sostenere economicamente un partito. Altro è la sua attività come presidente di banca». Quanto al rapporto un filo incestuoso tra Pd (via enti locali) e Fondazione, Misiani è cauto: «È un sistema che è stato costruito negli anni e che ha una sua storia. Ora va adeguato ad una realtà profondamente mutata».
A sera è ancora Massimo D'Alema, da Genova, a cercare di chiudere una questione che rischia di assediare da ogni lato il Pd in campagna elettorale: «Mps non è mai stato un punto di riferimento del nostro partito». Ma il contrario vale?
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