Sondaggi, Renzi supera Bersani

Il sindaco di Firenze ha il 35%, il segretario solo il 27% ma si vede già premier. E la base del Pd insorge sulla rete

Sondaggi, Renzi supera Bersani

Roma Matteo Renzi vvò fa l'amerikano. Abballa 'o rockenroll, gioca 'o basebàl, s'emoziona per Clintòn. Passa e spassa sull'Atlantico, scodella a Monti in breve incontro beghe fiorentine, e nel frattempo s'invola nei sondaggi. Secondo Nicola Piepoli avrebbe superato Bersani tra gli elettori del centrosinistra: 35 a 27 per cento (27 pari tra i soli elettori del Pd). Impietoso, per il segretario, il confronto sulla fiducia degli italiani: 19 per cento contro il 52 del sindaco di Firenze.
E lui? Lui se la ride. Vuole vivere alla moda. Irride i «nonni» del partito, senza i quali «non c'è famiglia». Vede un «incomprensibile nervosismo tra i big» e per tweet invita gli amici a «non cadere nelle provocazioni» (come nelle migliori tradizioni del vecchio Pci). Ma intanto la misura è ormai colma, il pentolone del partito ribolle. Non soltanto per lo scontro generazionale e la crescente precarietà dei «nonni». Sul Web impazza la delusione della base (c'è ancora lo zoccolo duro?) per l'organigramma che blinderebbe i maggiorenti secondo un noto patto di quiescenza: Bersani premier, Bindi vice, Veltroni Camera, D'Alema Farnesina, Fioroni ministro un tanto al chilo. «Che bella Italia giovane e nuova che ci si prospetta... quando parte la prossima Soyutz?», s'incavola un Anonimous. Tal Chris non ne può più: «Ho letto solo la formazione poi ho smesso: no problem! Sono solo viaggi di gente che non si rende conto di un cazzo e vive sulla luna». Malinconia lunare coglie uno che si firma ex elettore del Pd: «Certo che quelli come me, desiderosi di poter votare un partito progressista che sia accettabilmente moderno e maturo, sono ben messi. Da una parte questi zombie che non mollano la presa nonostante l'evidenza da una parte e gli urlatori populisti infiltrati della reazione dall'altra. Finirà che starò a casa ad elaborare il lutto». «Scusate se insisto poi smetto - dice un delusissimo - ma com'è che tanti scalpitano per finire dalla padella degli zombi alla brace dell'arrivista?». In definitiva, promette tal Giovanni, «se Renzi mi garantisce che manda D'Alema a fare un altro mestiere e Veltroni in Africa (dove aveva promesso d'andare...) Porto a votare alle primarie tutti i cinesi di Reggio».

A poco è servita la smentita del segretario («Macché patto di potere, parlo solo dell'Italia»), il partito che si dimena tra capra e cavoli ora è in piena crisi fibrillatoria. Caffeina ne aggiunge l'ex peso Massimo (D'Alema) che, in una inquieta paginata del Corrierone, dissotterra l'ascia di guerra: «Registro con amarezza che Renzi sembra essere sostenuto soprattutto da quelli che il Pd al governo non lo vogliono, a partire dalle personalità politiche e dai giornali che fanno riferimento al centrodestra». Qualcosa, nei sempre precari equilibri del Pd, dev'essersi smosso. Così maramaldeggia a gamba tesa Arturo Parisi sul povero Bersani: «Condivide le parole di D'Alema, che definisce la candidatura di Renzi contro il partito e il suo gruppo dirigente? E se Renzi è in campo contro il partito, per chi è in campo Bersani?». L'ansia è tanta che si ridesta persino l'ufficio stampa di Romano Prodi: in una nota smentisce che l'ex premier abbia mai «avanzato obiezioni sull'opportunità di ricorrere alle primarie».

Il tutti contro tutti non risparmia nessuno, e se Gentiloni invita la «nomenklatura a non essere impaurita dal ciclone Renzi: una risorsa, non un nemico del popolo», Giacomelli se la prende con i «giovani turchi» (Orfini) colpevoli di portare Bersani verso una «nuova gioiosa macchina da guerra». Cioè la rovina totale.

Giorgio Merlo distintamente ormai vede «rischi di un'implosione» e Goffredo Bettini, già longa manus veltroniana, serve il de profundis: «Troppe correnti, troppe divisioni assurde, figlie dell'istinto dei dirigenti alla conservazione del proprio orticello. Il Pd è sprofondato». Si salvi chi può.

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