Nessun nuovo piano industriale per Fiat

Dopo il vertice con Monti il gruppo non darà altre indicazioni sui suoi progetti. Il 30 ottobre solo i conti del trimestre

Nessun nuovo piano industriale per Fiat

Sergio Marchionne ha preso l'impegno con Mario Monti di mantenere la produzione Fiat in Italia, ma le scelte strategiche che il Lingotto adotterà nel medio-lungo termine restano imprevedibili, appese al muro della crisi.
Non solo, il summit di sabato a Palazzo Chigi ha fatto svanire anche l'appuntamento del 30 ottobre: se nelle aspettative del mercato il gruppo Fiat avrebbe dovuto fornire ragguagli sul piano industriale e quindi sull'utilizzo delle fabbriche e sul calendario di uscita dei nuovi modelli rimasti congelati nella recessione, ora Torino si limiterà invece a dettagliare i soli risultati di bilancio del terzo trimestre e l'impatto della crisi sul settore a livello europeo. Il resto, in buona sostanza, Fiat lo ha già detto al governo. Prima di muovere Marchionne attende infatti di capire quali saranno le scelte del sistema Paese per migliorare il contesto competitivo italiano. Gli occhi sono puntati sul tavolo tecnico che prenderà il via al ministero dello Sviluppo Economico.

Obiettivo del «cantiere» è ridare fiato al settore dell'automotive. Non quindi incentivi, che peraltro l'ad della Fiat non ha mai chiesto, ma misure capaci di rilanciare tutta la filiera produttiva e in ultima analisi i consumi delle famiglie: dal 2007 la domanda di vetture è crollata da 2,5 a 1,4 milioni. La ricetta dovrebbe quindi prevedere sia interventi normativi sia sgravi fiscali, pensati per risollevare le esportazioni; cui potrebbe aggiungersi una riduzione del carico fiscale che oggi spinge il prezzo alla pompa dei carburanti in Italia al livello più elevato d'Europa.

Fiat deve incontrare «i sindacati che si sono assunti le proprie responsabilità per gli investimenti di Pomigliano e Grugliasco», ha attaccato il leader della Cisl, Raffaele Bonanni. «Vogliamo una verifica puntuale con Marchionne sui futuri piani di investimento in Italia»: in pratica le forze sociali vogliono fare chiarezza sui modelli che sostituiranno quelli giunti a fine corsa come la Fiat Idea e la Lancia Musa a Mirafiori o la Punto a Melfi.
«Non era realistico attendere miracoli, rimane tutto un lavoro da fare per capire che modelli vuole produrre Fiat in Italia», aggiunge il capo della Uil Luigi Angeletti a Tgcom24, rimarcando di aver avuto da subito «basse aspettative» sul summit di Marchionne con il premier Monti. Fiat «deve rischiare un po' di più, gli imprenditori non possono investire solo quando si vende»: negli ultimi tre anni il Lingotto ha sostenuto uno sforzo pari a 5 miliardi.
L'ipotesi su cui si sta lavorando è quella di trasferire in Italia una parte delle catene di montaggio della Chrysler, così da sfornare macchine da destinare ai mercati esteri, a partire da quello statunitense grazie appunto agli sgravi fiscali che potrebbero essere varati per sostenere il made in Italy.

L'altra grande variabile è poi l'attivazione dal 2013 della cassa integrazione in deroga, così da creare uno scivolo per gli addetti del Lingotto in attesa della ripresa delle vendite. Qualcosa di più potrebbe trapelare giovedì 27 settembre, quando Marchionne è atteso al salone dell'auto di Parigi. Di certo, Fabbrica Italia, con i suoi 20 miliardi di investimenti, è ormai lettera morta.

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