Era confezionato per uccidere il pacco bomba inviato ieri alla redazione del quotidiano La Stampa di Torino. Un hard disk di memoria esterna da computer che una volta collegato sarebbe esploso: all'interno, compresso, circa un etto e venti di esplosivo, avvolto in una fascia metallica che con la deflagrazione si sarebbe spaccata in mille pezzi, mille proiettili. Il plico, indirizzato al collega Massimo Numa, da tempo nel mirino delle frange più violente del movimento No Tav, è arrivato in redazione mercoledì sera, ma solo giovedì mattina è stato consegnato al cronista. Oltre al micidiale hard disk c'era una lettera nella quale si spiegava che la memoria conteneva filmati inerenti i camping estivi dei No Tav a Chiomonte, in Val Susa, immagini utili per individuare «il figlio di un noto magistrato» e altri «cattivi maestri». Una trappola ben organizzata. Premeditata, perché preceduta nei mesi scorsi dalla telefonata di un uomo che annunciava al cronista l'invio di un video sui No Tav.
Un attentato in piena regola, che rappresenta il salto di qualità della strategia No Tav tanto invocato da più parti. Da settimane, all'interno del movimento si registrano spaccature e scissioni tra chi non si accontenta più di combattere il Tav con manifestazione e assalti al cantiere con pietre e bombe carta e chi, invece, inneggia ad alzare il tiro. La scorsa settimana due brigatisti, Vincenzo Sisi e Alfredo Davanzo, in carcere perché considerati membri delle nuove Br, avevano diffuso un documento contro il sistema carcerario nel quale si invitava i No Tav a «compiere un altro salto in avanti, politico organizzativo, assumendone anche le conseguenze, o arretrare». In sostanza, il messaggio era «sparate o fatevi da parte». Parole che non sono cadute nel vuoto e che evidentemente hanno fatto breccia in quei gruppi eversivi che da tempo agitano e intimidiscono chi in Val Susa è favorevole alla realizzazione dell'opera. Il livello di scontro è ormai a livelli altissimi. E oggi non possono che riecheggiare le parole di alcune settimane fa del procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli, che aveva usato senza mezzi termini l'espressione «eversione» per descrivere cosa sta succedendo in Val Di Susa e per attaccare quegli intellettuali che «si rendono con il loro silenzio conniventi».
Il pacco bomba rappresenta l'ultimo atto di una lotta senza confini dove l'unica regole è «o con noi e contro di noi». E il collega destinatario del pacco è da mesi al centro di intimidazione e minacce. Non più tardi di dieci giorni fa Anonymous, il gruppo hacker che appoggia la battaglia No Tav, ha violato il computer di un familiare del cronista per inviargli lettere di minacce. Lettere in cui si fa riferimento anche a dati sensibili del cronista, che evidenziano come sia stato seguito e sorvegliato da persone organiche ai No Tav. Inoltre, sempre Anonymous ha diffuso in rete alcuni documenti personali tratti dal carteggio tra lui e il parente. Circostanze inquietanti. Così come l'escalation di sabotaggi e attentati contro aziende che lavorano al cantiere del Tav a Chiomonte.
Sul pacco bomba alla Stampa, la procura di Torino ha aperto un'inchiesta coordinata dai sostituti procuratori Andrea Padalino e Antonio Rinaudo. «Le indagini sono all'inizio - spiega il procuratore capo di Torino Caselli -. Una premessa doverosa. Ma tutto rientra in questo mondo di anarchici, antagonisti, dove chi tocca i fili rischia, siano essi politici, magistrati e giornalisti. Questo è un ordigno particolarmente sofisticato e pericoloso e rappresenta una chiaro progresso criminale».
In tarda serata, in una nota, il Movimento contro il collegamento Torino-Lione ha detto di «respingere al mittente ogni collegamento» tra il pacco bomba e i No Tav affermando che «pallottole e bombe non ci appartengono».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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