«La richiesta di arresto? Una vicenda folle. Ma se qualcuno di noi lo dicesse o esprimesse solidarietà rischieremmo di inguaiarli ancor di più».
Così un esponente milanese del Pd spiega il silenzio di tomba con cui anche la sinistra riformista lombarda ha accolto la bomba a scoppio ritardato (l'inchiesta risale a due anni fa) lanciata due giorni fa dalla Procura meneghina su archistar di fama mondiale come Cino Zucchi e Stefano Boeri. Il quale nel Pd di Milano ha avuto ruoli di primo piano: candidato alle primarie da sindaco (vinte da Giuliano Pisapia) nel 2010, e poi assessore alla Cultura dal 2011, sempre impegnato nella sinistra della città.
Sinistra che però oggi tace: chi per non «inguaiarlo di più», e chi perchè anche questa inchiesta fa buon gioco, nella guerra interna che si è scatenata sulla successione a Beppe Sala. Il clima è pesantissimo: «É in corso il tentativo di bruciare un'intera stagione politica di governo della città. Con la sponda della Procura e la piena complicità di una parte della sinistra. E con la destra che aspetta giuliva il nostro suicidio per riprendersi la città», dice un dirigente vicino alle ultime amministrazioni comunali. L'inchiesta per «turbativa d'asta» su Boeri, per l'appalto della Biblioteca Europea d'informazione e cultura, è solo uno dei tanti fascicoli in materia urbanistica aperti dai pm milanesi. Col risultato di paralizzare i cantieri, bloccare le ristrutturazioni, far perdere al Comune milioni di entrate, far impazzire il mercato immobiliare nella città motore d'Italia: per questo a novembre era stato approvato, con ampio voto bipartisan, il cosiddetto ddl «Salva Milano».
Ma il Pd, dopo averlo approvato con entusiasmo a Montecitorio, con l'impegno diretto della capogruppo Chiara Braga, la dichiarazione di voto della segretaria regionale Silvia Roggiani e il timbro ufficiale di Elly Schlein, ha improvvisamente cambiato idea. E bloccato tutto in Senato. Sempre con impegno diretto del capogruppo (stavolta Francesco Boccia) e timbro ufficiale di Schlein.
La giravolta è figlia dello scontro sempre più acceso, e tutto interno alla sinistra tra chi vuole salvaguardare il «modello Milano», con un candidato e un programma di governo post-Sala di impronta riformista che raccolga l'eredità delle precedenti gestioni, e chi vuole affossarlo spostando l'asse politico sulla sinistra radical-populista di impronta verde e grillina. Cavalcando anche le inchieste per ottenere il risultato. Non a caso l'aspirante sindaco schleiniano Pierfrancesco Majorino, che pure ha fatto parte della giunta Sala avallandone il modello di sviluppo urbanistico, è stato tra i primi a rinnegare (via intervista al Fatto, guarda caso) il Salva Milano.
Ora Boccia promette che il Salva-Milano, invece, non passerà: «Di certo la norma va modificata», assicura. Anche se, spiegano i dem del Senato, «nessuno sa ancora come, quindi la cosa sarà molto lunga».
Il ddl, insomma, è finito su un binario morto. Una porta sbattuta in faccia a Beppe Sala, che proprio ieri era collegato con Palazzo Madama a perorare la causa del Salva Milano, tentando di convincere il Pd a tornare sui propri passi e a non lasciar bloccare il «processo di rigenerazione urbana unica» di Milano. Il sindaco, nei burrascosi colloqui con Schlein delle settimane scorse, ha messo sul piatto anche le proprie dimissioni, contro il ribaltone del Pd.
Ma per la sinistra schleiniana anche il rischio di un patatrac e di elezioni anticipate (con il centrodestra milanese che si frega le mani) passa in secondo piano: l'importante è non mettersi contro l'onda degli indignados grillini, degli «ecologisti» della Via Gluck o dei pm a caccia di archistar.
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