Il Pd incorona il falco Zanda solo per far fuori Berlusconi

Il capogruppo al Senato eletto per acclamazione. I suoi meriti? Ha firmato l'appello per l'ineleggibilità del Cav. Così i democratici si offrono ai grillini

Il Pd incorona il falco Zanda solo per far fuori Berlusconi

Roma - Non fu un caso, evidentemente. Quando Luigi Zanda e gli altri due pontieri del Pd incontrarono la settimana scorsa i Cinquestelle, quel punto di contatto emerse come il più concreto. Forse persino il più seducente. Anche perché trovava in Zanda orecchie sensibili, essendo egli l'unico esponente di spicco del Pd ad aver sottoscritto l'appello di Micromega per l'ineleggibilità di Berlusconi. E, come anticipato proprio dal Giornale, su quell'idea si cominciò a lavorare, tassello dopo tassello.
Amorosi sensi che prendono corpo oggi, all'indomani della nomina dello stesso Zanda per acclamazione a capogruppo piddino in Senato. Certo, l'ex collaboratore principe di Francesco Cossiga partiva in pole position - sia per l'esperienza maturata, sia per la certosina opera di vice della Finocchiaro, svolta ininterrottamente dal 2006. Ma caso vuole che proprio a lui - sardo tenace, forse tra gli ultimi depositari dei segreti del caso Moro - sia stata affidata la trattativa con gli uomini di Grillo. Un uomo delle prima Repubblica a fronteggiare i cosiddetti «barbari della terza Repubblica». Apparentemente nulla in comune, se non fosse sbucato dall'incontro quella strana indicazione per porre alla Giunta per le elezioni una questione ad essa già sottoposta nel '94 e nel '96, sempre con esito negativo. La famosa norma contemplata dalla legge 361 del 1957 (articolo 10 comma uno) che dichiara non eleggibili «coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni...». Nei precedenti esami, il ricorso fu bocciato in quanto l'inciso «in proprio» andava inteso «in nome proprio» e dunque non applicabile a Berlusconi.
Respinto negli anni Novanta, Paolo Flores d'Arcais una ventina di giorni fa è tornato a bomba. Il suo appello ha raccolto ormai oltre 226mila firme, intellettuali e giornalisti, da Camilleri alla Spinelli, alla Hack, a Dario Fo. I promotori ieri hanno inviato una lettera ai nuovi presidenti di Camera e Senato, per chiedere «di intervenire contro la grave censura da parte della Rai» su una manifestazione indetta sabato prossimo in piazza Santi Apostoli a Roma, «per l'applicazione della legge sull'ineleggibilità di Berlusconi».
Il cavallo di battaglia, rispolverato dopo tanti anni, contraddice quanto raccomandato da Napolitano in una recente nota: «Bisogna garantire a Berlusconi la partecipazione politica». Ma la possibilità di far fuori il Cav con un tratto di penna sembra tanto ghiotta da solleticare appetiti ferini (ieri è rispuntato Di Pietro, io quello lo sfascio). Così il primo atto di legislatura del capogruppo grillino, Vito Crimi, è stato l'annuncio della «fase propositiva: iniziamo con l'ineleggibilità di Berlusconi e i tagli alla casta, il nostro ufficio legislativo sta già lavorando». Di rimando, Zanda ha concordato con Crimi e la Lombardi, capogruppo M5S alla Camera, un incontro per oggi «sulle chiare posizioni» emerse, come ha riferito la Lombardi ai suoi.


E non sembra nemmeno un caso se, nel breve discorso dopo la sua elezione, Zanda ha citato una frase di Aldo Moro: «Se nell'atto di costruire una casa nella quale dobbiamo ritrovarci tutti ad abitare insieme non troviamo un punto di contatto, un punto di confluenza, veramente la nostra opera può dirsi fallita». Ecco, il punto di contatto è trovato, il primo mattone posto. Eliminare il Cav per non dover dichiarare fallimento.

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