Più facile eleggere un Papa che un premier

Sono duemila anni che ci surclassano, non ci era sfuggito

Più facile eleggere un Papa che un premier

Sono duemila anni che ci surclassano, non ci era sfuggito. Dallo scorso 28 febbraio il soglio di Pietro è vacante, in settimana sarà riempito. Una decina di giorni, due settimane al massimo. Anche lo scranno di Palazzo Chigi è formalmente disponibile dal 24 febbraio scorso: visti i contendenti, stanno immaginando di sostituirlo con un cero. Volendo essere un po' più inclementi: «Dio ha già deciso chi deve essere il nuovo Papa, sta a noi scoprirlo», ha rivelato ieri l'arcivescovo nigeriano Onaiyekan. Napolitano, invece, brancola nel buio. Bersani ha già scoperto che non toccherà a lui. Gara impari, l'umiliazione implacabile. Prendete la riduzione del numero dei parlamentari, oggettivo fattore di complicazioni inutili; quasi mille rappresentanti del popolo che non sanno a che santo votarsi. I cardinali invece sono 115, il rappresentante del Signore in terra governa un paese di qualche miliardo di anime disseminate in cinque continenti. Basta loro un quorum di 77 voti per essere certi della scelta.

Certo, come ha confermato il cardinale cappuccino O'Malley - sicuramente dotato di ottimi contatti - «Gesù ha promesso di essere con noi». Non vale come giustificazione, però: lo Spirito Santo «soffia certamente nella Sistina, ma è anche una questione di voti», osservava il cardinale Oddi. Il segreto starà pure nel luogo, una meraviglia celeste, ma pare celarsi soprattutto nella sobrietà, se è vero che la stufetta della fumata è alta meno di un metro e ciò che il cardinale americano Dolan ha lamentato in un'epistola ai suoi cari: «Sto finendo anche i calzini, ma torno presto». Sarà un conclave breve, trapela dalle sacre stanze, e la celerità è virtù cardinale senza ombra di dubbio. In quattro e quattr'otto, visti i «tempi grami» (così li ha denunciati l'arcivescovo Scola) hanno deciso tutti assieme di accelerare la data del conclave. Ma sappiate che l'elezione di Pio XI nel 1922, per la quale ci vollero ben 14 scrutini, si risolse in soli 5 giorni.

Dunque uno dei punti di forza è tenerli cum clave, come la Chiesa ha capito da tempo immemorabile: cioè, sotto chiave. Talvolta non lesinando metodi anche un poco spicci, come racconta lo storico Alberto Melloni di uno dei primi conclavi: «Imprigionati per due mesi nei ruderi carcerari del Septizonio, quasi torturati da guardiani beffardi e violenti, i cardinali dovettero superare le esitazioni...». Organizzazione e severità, altro che blabla. E senza dover nascondere il sottile intimo godimento nell'immaginare Bersani, Renzi, Crimi, Grillo, Lupi, Monti e Cicchitto nelle segrete di Montecitorio fino a premier designato. Ne uscirebbe però un topolino, statene altrettanto sicuri. Eppure le regole di Santa Romana Chiesa sembrano le uniche in grado di farci uscire dall'impasse politica. Votazioni a ripetizione, fino a quattro al giorno, isolamento assoluto senza chattare con retroscenisti o la serale dichiarazione all'Ansa, giuramento preliminare di segretezza, induzione obbligata alla conoscenza reciproca, se non all'amicizia. I cardinali voteranno prima il migliore secondo la propria prospettiva, facendo attenzione a non bruciare il prescelto. Poi, man mano, guidati dall'intuito, convergono tutti su quello «più capace di catalizzare consenso». Aborriti i pregiudizi come farina del diavolo, elezione nulla in caso di evidente simonia.

Ed è qui che probabilmente casca l'asino parlamentare, abituato a pontieri del momento (che si chiamino Puppato o Errani poco cale). Come ha detto O'Malley nell'omelia «per Cristo ogni pecora è preziosa». Pensate se solo lo sapessero i nostri parlamentari: non ne uscirebbe viva. La pecora.

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