Pomodoro e pasta Se i contadini salvano le etichette storiche

Qualche volta il vecchio adagio secondo cui l'unione fa la forza torna di attualità. E, messo in pratica nel mondo delle imprese, serve ad evitare che grosse multinazionali estere facciano propri quei marchi che hanno reso il Made in Italy grande nel mondo.
È accaduto con il ramo d'azienda di Parmalat dedicato alla produzione di pomodoro: dopo il crac, alla fine del 2003, dell'azienda fondata da Calisto Tanzi, nel 2007 la società «Boschi Luigi&figli» è stata acquisita, insieme a Pomì, Pomito e Pais (che produce zuppe e minestre) da un gruppo cooperativo formato da Cio (Consorzio Interregionale ortofrutticolo) e dal consorzio Casalasco. Un'operazione da 32 milioni di euro: senza la newco organizzata dagli agricoltori, oggi quelle aziende sarebbero, come il resto di Parmalat, di proprietà della francese Lactalis.
Ora invece tutta la società è stata incorporata dal consorzio Casalasco, e l'export, dichiara il presidente di Cio Marco Crotti, «ci sta dando grandi soddisfazioni, in particolare negli Stati Uniti dove abbiamo rilanciato il pomodoro come prodotto tradizionale della filiera agricola italiana».
Anche il pastificio Ghigi, storica azienda emiliana della pasta dal 1870, è stato salvato dai coltivatori diretti di grano. I quali, anziché restare spettatori passivi di un fallimento che si sarebbe tradotto, a cascata, in un calo della domanda di materia prima, hanno deciso di investire. Rilevando il marchio, l'area di produzione da 67mila metri quadrati (con un capannone da 16mila). Di più: i consorzi (l'agrario dell'Adriatico, quello emiliano di Bologna, Modena e Reggio, il consorzio toscano della Maremma e quelli di Bolzano e Ravenna) hanno anche rinnovato l'intero parco macchinari. Una spesa in tutto di 32 milioni di euro, «senza nessun contributo statale», fa notare il presidente Filippo Tramonti. Che spiega: «In questo modo oggi noi agricoltori abbiamo “chiuso“ la filiera. La gestiamo per intero, dalla materia prima fino al prodotto finale».


Di quest'ultimo viene garantita anche la qualità di prim'ordine: «A differenza delle altre aziende, il nostro grano è tracciabile, è riportato nero su bianco sul pacco di pasta, e siamo in grado di garantire che sia italiano al cento per cento». La pasta Ghigi è venduta in sei Paesi d'Europa, in Nord e Sud America, nei Paesi arabi. E, conclude Tramonti, «non c'è nessun industria esterna che ci guadagna, perché l'industria siamo noi».

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