La Procura vendica Ingroia: in aula i vertici dello Stato

Trattativa Stato-mafia, i pm di Palermo citano come testimoni Napolitano e Grasso. Vogliono fare rientrare le intercettazioni del presidente distrutte per ordine della Consulta

La Procura vendica Ingroia: in aula i vertici dello Stato

Se non si possono più ascoltare le telefonate tra Mancino e Napolitano, i diretti interessati si possono invece interrogare in aula, al processo sulla farsa dell'indimostrata «trattativa» Stato-Mafia. Il primo come indagato. Il secondo in qualità di testimone, dunque obbligato a dire la verità. Orfani del pm Antonio Ingroia finito tra le mucche della Val d'Aosta, i colleghi palermitani rialzano la testa dopo lo schiaffone ricevuto dalla Corte Costituzionale sull'utilizzabilità delle conversazioni del capo dello Stato. E nella black list dei 176 testimoni, che dovrà essere ammessa dai giudici della Corte d'Assise, i pm chiedono di sentire anche l'inquilino del Colle, vero obiettivo del processo che aprirà i battenti il 27 maggio a Palermo.

Mentre Antonio Ingroia guarda all'incerto futuro dopo il flop elettorale, i colleghi palermitani lo «vendicano» superando l'impasse provocata dalla pronuncia della Consulta dello scorso dicembre che ha risolto il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, poi sfociato nella distruzione delle quattro chiacchierate con l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino. Per cercare di fare luce sulla fantomatica «tratattiva» i magistrati del pool coordinato dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi vogliono trascinare in aula parte dei vertici istituzionali che potrebbero ritrovarsi «mischiati» a imputati del calibro di Riina, Bagarella e Brusca, insieme a 30 pentiti e al «pataccaro» Massimo Ciancimino. Oltre a Napolitano, anche il suo predecessore, il 93enne Carlo Azeglio Ciampi, è in lista d'attesa insieme all'attuale presidente del Senato Pietro Grasso, l'ex presidente della commissione Antimafia, Luciano Violante, l'ex ministro Giuliano Amato, e poi Ciriaco De Mita, Arnaldo Forlani, il segretario generale del Quirinale Donato Marra. Tra i magistrati l'elenco della pubblica accusa comprende l'ex procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli, il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone (già vice di Grasso a Palermo), il pg della Cassazione, Gianfranco Ciani, il suo vice Pasquale Ciccolo, e l'ex pg Vitaliano Esposito.

Se i giudici della Corte d'Assise daranno l'ok per Napolitano, il capo dello Stato si ritroverà a dover rispondere, per quanto di sua conoscenza, anche delle preoccupazioni espresse telefonicamente (a Mancino) dal suo consigliere giuridico Loris D'Ambrosio prima che morisse d'infarto, nel luglio del 2012, in piena bagarre tra poteri dello Stato. L'ex ministro Mancino, indagato per falsa testimonianza, era stato intercettato mentre sollecitava la protezione del Quirinale, esprimendo a D'Ambrosio i timori per l'azione della procura palermitana. Quest'ultimo, proprio per chiarire che mai aveva cercato di favorire Mancino, un mese prima di morire scrisse di temere di «essere considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi». Un paura riferita al periodo che va dal 1989 al 1993, gli anni delle stragi e della presunta «trattativa».
Con Napolitano sul banco dei testimoni, dunque, i magistrati vogliono mettere all'angolo il presidente per ricostruire il contesto in cui maturarono le telefonate tra Mancino e D'Ambrosio e per arrivare a parlare delle quattro conversazioni con Mancino - distrutte ad aprile nonostante l'opposizione di Ciancimino - captate dalla Dia, a conoscenza di tanti ma mai depositate ufficialmente. Oltre a Napolitano anche Grasso rischia di ritrovarsi nella melma dei veleni palermitani allorché potrà essere chiamato a chiarire le sollecitazioni ricevute da Mancino quando era procuratore antimafia sull'andamento delle indagini.

Intanto dalle carte dell'inchiesta romana e abruzzese sul tesoro di Ciancimino escono intercettazioni, queste sì, indistruttibili del profilo del figlio del sindaco mafioso di Palermo, il superteste del processo-trattativa.

Parlando su Skype, Ciancimino jr fa intendere d'aver iniziato a collaborare con i magistrati per «trattare» l'archiviazione delle indagini sul suo «tesoro» in Romania. «Io gli ho fatto i patti chiari, gli ho detto che negherò tutto, in udienza, se non mi aiutano...».

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