Napolitano e quel novembre 2011: chi orchestrò il "golpe" anti-Berlusconi

Già a partire dal giugno 2011, quando la situazione economica italiana non era ancora negativa, il Presidente emerito della Repubblica si mise in contatto con Mario Monti per prospettargli la successione al Cavaliere a Palazzo Chigi, che si verificò cinque mesi dopo

Napolitano e quel novembre 2011: chi orchestrò il "golpe" anti-Berlusconi

Due volte Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ebbe un ruolo fondamentale nel novembre 2011 quando ci fu il passaggio di consegne a Palazzo Chigi tra Silvio Berlusconi e Mario Monti. Nella tempesta perfetta finanziaria che si scatenò nell'Italia, la vide lo spread raggiungere vette mai toccate, l'allora Capo dello Stato non si comportò esattamente da "arbitro imparziale" come invece il proprio ruolo istituzionale gli avrebbe dovuto imporre. Per comprendere come il "golpe" venne messo in atto nel tardo autunno di dodici anni fa - anche con la collaborazione decisiva del Quirinale - è necessario contestualizzare quel periodo.

Dalla stabilità al ribaltone fallito

Tornato presidente del Consiglio nel 2008, Silvio Berlusconi è parecchio riottoso nei confronti della politica del rigore propugnata da Angela Merkel a inizio anni '10 contro la crisi economica e sosteneva una ricetta più improntata allo sviluppo. Inoltre i rapporti con Nicolas Sarkozy non erano esattamente eccellenti: il presidente francese aveva preso quasi come un affronto personale la contrarietà del Cavaliere di un intervento in Libia e il rifiuto di Lorenzo Bini Smaghi, che era nel board della Banca Centrale Europea, di lasciare il posto a un rappresentante di Parigi nel momento in cui Mario Draghi (fortemente voluto da Berlusconi) era diventato presidente della Bce. L'establishment politico, economico e finanziario italiano non fa per niente fronte comune nelle battaglie europee del premier, lasciando così campo libero all'"invasione di campo" da parte di altri Paesi: Francia e Germania sono pronti a imporre i loro interessi contro l'Italia.

Se nell'aprile 2009 Silvio Berlusconi aveva raggiunto il massimo del gradimento del Paese (72%) dopo il famoso discorso di Onna del 25 aprile, due anni dopo la sua leadership viene indebolita dalle indagini giudiziarie sulla vita privata e dal divorzio di Gianfranco Fini che trasformò l'ampia maggioranza parlamentare del centrodestra in una coalizione che ormai aveva pochissimi voti di vantaggio nelle Camere: pare che - secondo alcune autorevoli testimonianze mai smentite - Napolitano avesse fatto intravedere allo storico leader di An il miraggio di Palazzo Chigi dopo l'eventuale caduta del governo. Se nel dicembre 2010 il ribaltone fallì per pochissimi numeri, ora - nell'estate 2011 - si può ritentare il bis. A giugno, quando ancora i fondamentali dell'economia erano assolutamente a posto, Napolitano inizia a sondare Carlo De Benedetti e Romano Prodi sulla possibilità di affidare il governo all'ex commissario europeo Mario Monti. Il Presidente della Repubblica ne parla con quest'ultimo e anche con un amico del diretto interessato, Corrado Passera, ex ad di Banca Intesa, il quale redige un programma di governo già in quella calda stagione estiva. Basterebbero queste informali chiacchierate tra Roma e Bruxelles a delegittimare anche i governi più stabili.

Berlusconi sotto assedio dalla speculazione

Parte poi la speculazione finanziaria. La data clou è quella del 30 giugno 2011: la Deutsche Bank mette in vendita 8 miliardi di euro di titoli di stato italiani su 9 che ne ha in portafogli per poi ricomprarne parte nelle settimane successive. I mercati iniziano a fare i capricci e, insieme a loro, le istituzioni europee e la politica italiana. Lo scenario cambia dunque completamente in poco più di un mese. La Bce invia una lettera al governo (più di una persona ha giurato che in realtà era stata scritta in Italia per poi prendere le sembianze di un mittente di Francoforte) per chiedergli un'altra immediata manovra da 65 miliardi. In cambio, la Banca Centrale Europea avrebbe supportato i titoli di stato italiani. All'interno di un governo che ormai è spaccato - con Brunetta e Romani da una parte e Frattini e Tremonti dall'altra - e che ormai non si parla più, ecco che si insinua direttamente Giorgio Napolitano con una delle ultime mosse formali che si riveleranno la cartina di tornasole della vera finalità dell'operazione: fare fuori Berlusconi.

Il ruolo chiave di Napolitano

Dopo gli offensivi sorrisini di Merkel e Sarkozy al vertice europeo di Bruxelles, il Presidente della Repubblica nega al premier l'uso del decreto per l'approvazione della manovra economica che dove tranquillizzare l'Ue: questo manderà Berlusconi - nei fatti - completamente disarmato al G20 di Cannes del 3 novembre, ultima sua uscita internazionale da presidente del Consiglio. L'autorevolezza dell'esecutivo è ormai lesa. A mettere il timbro sulla morte del governo uscito trionfatore alle elezioni di tre anni e mezzo prima ci saranno due successivi atti istituzionali. Il primo è l'approvazione alla Camera del Rendiconto generale dello Stato con appena 308 voti a favore, numero inferiore di otto unità rispetto alla maggioranza assoluta di 316: il governo non esiste più. La pietra tombale la depositerà Napolitano l'11 novembre, con la nomina a senatore a vita di Mario Monti. Un messaggio per dire al Parlamento che il nuovo presidente del Consiglio è pronto. Pugnalato alle spalle dal Quirinale, Silvio Berlusconi sarà costretto a salire al Colle il giorno dopo per rassegnare le dimissioni.

Tutte le consultazioni sono rapidissime, tant'è che il nuovo premier giurerà davanti a Napolitano già la mattina del 16. Nonostante questo, tuttavia, il differenziale tra i Btp e gli omologhi Bund tedeschi supererà quota 500 a fine anno, nonostante le lacrime e sangue che il decreto "salva Italia" aveva già concordato. Più che un complotto, quello contro Silvio Berlusconi fu una somma di interessi - esterni e interni - convergenti sull'obiettivo di farlo fuori. Che trovarono un regista abile che li coordinò e ne scandì i tempi: Giorgio Napolitano.

Il risentimento personale nei confronti del Cav fu talmente vigoroso nel diretto interessato che il Capo dello Stato - rieletto nel 2013 al Quirinale - decise di non concedergli la grazia dopo la condanna per frode fiscale, affermando in un comunicato ufficiale che Berlusconi aveva dato vita "a comportamenti di protesta" che fuoriuscivano "dai limiti del rispetto delle istituzioni e di una normale, doverosa legalità". Giudizi pesantissimi contro una storica figura governativa che dimostravano una totale mancanza di equilibrio istituzionale da chi, per nove anni, aveva assunto il ruolo di prima carica dello Stato.

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