Quarant'anni contro il coro

Il Giornale opera da sempre in solitudine. Da quando esistiamo siamo conservatori che vogliono il cambiamento non progressisti (a parole) che vogliono la conservazione (soprattutto delle poltrone)

Quarant'anni contro il coro

Tra i quotidiani importanti Il Giornale opera oggi in solitudine, come quando venne al mondo. Rappresenta l’opposizione. Rappresenta quanto di più necessario e tonificante può esistere in una democrazia dalle connotazioni fisiologiche, in un «Paese normale». Da quando esistiamo siamo conservatori che vogliono il cambiamento non progressisti (a parole) che vogliono la conservazione (soprattutto delle poltrone). Se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Grazie a Dio c’è. Siamo consapevoli di alcune nostre inadeguatezze e di alcuni errori. Non aspiriamo al padreternismo scalfariano (da Scalfari, non da Scalfaro). Ma sappiamo di essere contro gli inquilini del Palazzo e contro i poteri forti che ne vigilano gli ingressi, è una garanzia per gli italiani, per il pluralismo dell’informazione, per la libertà. Un tempo tentarono di ghettizzarci bollandoci come fascisti. Ora ci vogliono marchiare come berlusconiani, quasi che il leader del maggior partito italiano debba essere privato dei diritti civili, e quasi che altri quotidiani e altri giornalisti non abbiano i loro personaggi di riferimento con nomi e cognomi. Un puritanesimo tanto falso quanto ostentato contrappone il capitalismo buono al capitalismo cattivo, e la manovra ha anche funzionato. «Per adesso...» plagiando il titolo di una lunga intervista al capofila dei cosiddetti buoni.

Per ovvie

ragioni di cautela «il Giornale» non fissa oggi traguardi secolari (e ancor meno millenari) per la sua esistenza. Ma poi, a ben pensarci, perchè rinunciare a priori? Non poniamo limiti alla Divina Provvidenza.

25 giugno 1999

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