Lo sberleffo con cui Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera accenna alla mossa di Mario Monti di utilizzarlo in una commissione per attenuare le sue critiche sul quotidiano di via Solferino sottolinea un difetto strutturale di questo esecutivo: l’insofferenza ai «pareri diversi». Sono ormai decine gli scatti d’ira, iniziando con Ivo Caizzi e poi con chiunque «si sia permesso» di distanziarsi da lui, che caratterizzano il premier-tecnico. D’altra parte in una Germania che ha oggi una linea sbagliata sull’Europa, ma resta un esempio di come dalla tragedia totalitaria possa rinascere una liberaldemocrazia, quando si fanno grandi coalizioni per l’interesse nazionale, il partito centrista (Lpd) non vi partecipa, lasciando l’incombenza ai partiti maggiori, Cdu-Csu e Spd. I liberali stanno fuori per garantire punzecchiature moderate a una soluzione che «senza critiche» deprime la libertà. Qui da noi invece i centristi corrono nella grande coalizione come topini nel formaggio. Si cooptano poi gli uomini di tutti gli ambienti per non avere alcuna opposizione. Si scatenano tempeste su chi attacca il governo. Scemenze provocatorie di Beppe Grillo diventano delitti di Stato sottoposte a veri processi dalla rete Rai di sinistra.
Si trattasse solo di temperamenti, di un professore che non ha mai avuto vere cariche di direzione né politiche né economiche, esercitando solo ruoli accademici o rigidamente tecnici come all’Euroantitrust, e quindi non sa come gestire il potere, fossero problemi marginali si potrebbe chiudere un occhio, magari valorizzando qualche utile scelta d’emergenza e una chance di tregua di cui la politica italiana aveva bisogno.
Il fatto è che certi atteggiamenti corrispondono alla ricerca dell’irresponsabilità da parte di poteri fondamentali della società italiana: dai settori di magistratura che si rifiutano di definire le forme civili e liberali con cui rispondere dei loro errori, a parte rilevante del vertice del nostro sistema bancario che aspira all’intoccabilità: caso recente è quello di Alessandro Profumo che viene chiamato a presiedere un grande istituto di credito nazionale, dopo avere fallito nel ruolo di amministratore di Unicredit.
Ci troviamo oggi a una svolta in cui il peso delle vicende internazionali prevarrà su quelle interne. C’è parte dell’Europa tedesca (Olanda e Lussemburgo) che si ribella a Berlino perché teme che questa abbia ormai scelto vie diverse da quelle dell’Unione. Verso questi esiti noi andiamo con un governo più o meno commissariato, che ha maldestramente accettato la cornice depressiva del fiscal compact imposta da Angela Merkel.
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