Quell'ordine di carcerazione "imboscato" a Roma

La Procura di Milano aspetta la notifica della Cassazione. E può passare anche un anno

Milano - Peggio di un conto alla rovescia, è un conto alla rovescia indefinito. Che fine ha fatto l'ordine di esecuzione della pena a 14 mesi di carcere che la Corte di Cassazione ha inflitto al direttore responsabile del Giornale Alessandro Sallusti? A partire da quando inizieranno a decorrere i 30 giorni entro cui chiedere l'affidamento ai servizi sociali o i domiciliari, opzioni alternative alla detenzione peraltro duramente scartate dallo stesso Sallusti? Buio fitto. L'ultima novità, infatti, è che di novità non ce ne sono. La Procura di Milano, a cui spetta l'applicazione della misura, attende un segnale da Roma. Segnale che a 21 giorni dalla sentenza della Suprema Corte ancora non è arrivato. Perché?
Una delle ragioni è di ordine strettamente pratico. Detto in poche parole, la macchina della giustizia è perennemente ingolfata. Qualche numero per farsi un'idea. Da una rilevazione dei procedimenti penali in carico alla Corte, emerge che all'inizio del 2012 i fascicoli pendenti erano ben 15.740. Al termine del primo semestre, la quota è scesa a 15.246. In pratica, è rimasta pressoché stabile. Nello steso periodo, gli ermellini hanno esaurito 709 pratiche di esecuzione sparse su tutto il territorio nazionale. Ma - ecco il punto - non tutte sono uguali. Esiste un iter, in base al quale chi è in stato di libertà - come nel caso del direttore Sallusti - passa in coda alla fila. E aspetta il suo turno, senza sapere quando sarà. Nessuna procedura d'urgenza, dunque, che si applica a chi è già sottoposto a custodia cautelare. In quel caso, l'«estratto esecutivo» - così si chiama in gergo tecnico - arriva nel giro di 3-4 giorni. Altrimenti, vale un criterio progressivo. Le pratiche, cioè, vengono smaltite secondo l'ordine con cui sono state trattate. Il giorno in cui arriverà la comunicazione da Roma, la Procura di Milano applicherà automaticamente la sospensione della pena, che varrà per trenta giorni durante i quali le difese potranno chiedere una misura alternativa prevista dal codice per le pene inferiori ai tre anni. Ma negli uffici del tribunale del capoluogo lombardo spiegano che è impossibile fare previsioni sui tempi che la Cassazione si prenderà per trasmettere il dispositivo, e - anzi - invitano alla calma. «C'è tempo - spiegano - può passare anche un anno».
Ma il tempo, in questo caso, non è un fattore secondario. Perché un conto alla rovescia che non parte - e non si sa quando partirà - è una condanna al logoramento. E al di là degli arretrati accumulati dalla Corte, l'impressione è che sia a Roma sia a Milano si stia facendo una corsa con il freno a mano tirato. Nessuno, in sostanza, sembra spingere perché la vicenda esca dalle secche in cui è sprofondata, nell'attesa - forse - che sia la politica a risolvere l'impasse, attraverso un provvedimento legislativo che eviti la carcerazione di un giornalista e il conseguente arretramento della democrazia italiana. Ma quello che potrebbe sembrare un atto di «benevolenza», in realtà somiglia più a una spada di Damocle.

Perché il «soggetto pericoloso» Sallusti - così l'hanno definito i giudici condannandolo al carcere per un articolo scritto da Renato Farina, reo confesso fuori tempo massimo - aspetta da Roma il fax che metta fine a questo pasticcio molto italiano. È tutto scritto su un foglio, sepolto tra centinaia di sentenze, in una cancelleria della Suprema Corte.

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