Renzi non è ancora a Palazzo Chigi e già la sinistra radicale lo vuole morto

Dall'ala radicale del Pd ai sindacati, fino al Sel: tutta la galassia rossa si rivolta contro la staffetta al governo

Renzi non è ancora a Palazzo Chigi e già la sinistra radicale lo vuole morto

Quando arriverà a Palazzo Chigi, Matteo Renzi farà bene a guardarsi attorno. Sopratutto alla propria sinistra. Il segretario democratico non ha ancora fatto in tempo a togliersi la fascia di sindaco di Firenze che l'ipotesi di una sua salita al governo non certificata dal voto popolare raccoglie più polemiche che consensi, soprattutto nell'area più vicina alle posizioni radicali delle minoranze interne. Cuperliani, civatiani, bersaniani e ciò che rimane dei dalemiani.
Nonostante il voto compatto con cui la direzione nazionale ha approvato la sfiducia de facto al governo, già questa mattina importanti esponenti della sinistra del partito come Stefano Fassina, già viceministro dimissionario di Letta e protagonista di uno scambio di battute al vetriolo proprio con il segretario Renzi, ha dichiarato: "Temo una svolta a destra sul programma, la riproposizione delle fallita ricetta liberista di tagli al welfare e l'ulteriore deregolazione del mercato del lavoro", ha detto Fassina, che ieri in direzione si era astenuto, a La Repubblica.

Tra i più critici Pippo Civati, già sfidante di Renzi alle primarie, che nelle scorse ore ha pubblicato sul proprio blog personale più di un intervento di durissima critica verso la scelta del segretario di procedere verso un nuovo esecutivo senza passare per le urne. Pur avendo votato il documento di ieri in direzione, anche Gianni Cuperlo, già presidente del Pd poi dimessosi in polemica con Renzi sul tema della legge elettorale, ha chiesto un impegno per una maggiore discussione: "Riteniamo necessario evidentemente che il partito, successivamente in direzione e nei gruppi parlamentari, discuta di contenuti e dei programmi di questo nuovo impegno per il Pd."

Ma i problemi proseguono, e se possibile peggiorano, se guardiamo al di fuori del perimetro del partito. Come se non fosse bastata la sonora bocciatura con cui il popolo della rete ha accolto l'ipotesi di una staffetta tra Letta e Renzi, anche la galassia alla sinistra del Pd si rivolta contro il merito e il metodo della scelta del segretario piddì. Il presidente di Sel Nichi Vendola si è detto "sconcertato" della "continuità politica con le larghe intese" , affermando di "non sentire nulla che profumi di svolta, nulla che profumi di sinistra". In merito alle consultazioni che si terranno a partire da oggi, Vendola ha assicurato che il suo partito chiederà "discontinuità" al Presidente della Repubblica, ma intanto Laura Boldrini, presidente della Camera e compagna di partito di Vendola, ha annunciato che intende rimanere al suo posto, smentendo le voci che l'avrebbero voluta a capo di un dicastero in un eventuale governo Renzi.

Critiche al cambio di esecutivo giungono anche dal segretario della Cgil Susanna Camusso, che chiede a gran voce più discontinuità: "Non basta solo cambiare il premier. Il Paese per ripartire ha bisogno di affrontare il tema del lavoro, che è stato trascurato, anche peggiorato, dalle scelte di questi anni di governo. Un tema che ha bisogno di investimenti, di crescita delle tutele, di ammortizzatori sociali" - ha continuato - "questo giudicheremo, se c'è una discontinuità su questi temi e se il tema del lavoro sarà al centro del programma del nuovo governo" . Alla Camusso ha fatto eco il segretario della Fiom Maurizio Landini, che ha detto, parlando della crisi, di temere per la tenuta democratica del Paese: "La partita è complicata, c'è il rischio di far pagare un prezzo altissimo ai lavoratori e all'Italia. È il momento dei fatti".

Immancabile l'intervento di Fausto Bertinotti, che ha analizzato la crisi di governo utilizzando il paradigma della postmodernità: "Il conflitto tra Renzi e Letta è il postmoderno, che Renzi interpreta, che oltre a rottamare il vecchio, rottama anche il

nuovo. Il centrosinistra si uccide andando al governo e facendo la politica degli altri. Credo che la sua andata al governo rischi di far perdere a Renzi la sua caratteristica di rottamatore, e quindi di innovatore."

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