Roma - Incentivi alla rottamazione: si sa da dove cominci, non sai fin dove puoi arrivare. Una «ciliegina» tira l'altra.
Ci dev'essere una rotellina fuori posto nell'ingranaggio strategico di Matteo Renzi: fino a poco tempo fa si pensava che volesse mandare in rimessa tutte le vecchie carcasse politiche di un partito nato per errore e vissuto di stenti. Due sere fa, la sorpresa tenuta sottotraccia per mesi: tutte tranne una, la più democristiana del bigoncio. Renzi opera la saldatura con Romano Prodi, lo candida al Quirinale dopo aver eliminato con la linguaccia i concorrenti più temibili - si sostiene persino con l'assenso interessato di D'Alema. In fondo, però, si tratta di Prodi, ispiratore e nume tutelare dell'idea stessa del Partito democratico, e dunque viene da capire quel senso di affezione che ti coglie per il modello antiquato dell'utilitaria sognata da Renzi.
Ma oggi il web colpisce chiunque, i grandi elettori non sono più quelli di una volta e vivono attaccati a quel che si muove in rete. La quarta votazione per il Quirinale così è un brutto risveglio anche per il giovane sfasciacarrozze di Firenze. Si capisce quando in aula il senatore Russo e il deputato Civati si spingono in territorio grillino per implorare il voto a Prodi. «Rodotà», rispondono quelli senza pietà. Ne verrà fuori «un Vietnam, uno choc», tanto per usare la definizione di Lapo Pistelli. Oltre cento franchi tiratori, Prodi fatto fuori senza neppure poter più dire: avanti un altro. «La candidatura di Prodi non c'è più», il laconico epitaffio del sindaco in favore di telecamera. Analisi, per così dire, un po' didascalica e scontata, in tv e poi su facebook: «I doppiogiochisti non mi piacciono. Da rottamatore dico che per il Quirinale non si trova il candidato nuovo, ci vuole una persona esperta e competente. Prodi lo sarebbe stato. Lo hanno fatto alcuni che al mattino avevano fatto l'applausone, poi hanno fatto il contrario, il giochino dei franchi tiratori non è una battaglia a viso aperto. Non si fa ». Perché, quella su Chiamparino della pattuglia renziana nelle prime due votazioni lo era?
E dire che per il gran ritorno di Prodi s'erano mossi poteri forti, il solito Bazoli, le lobby economico-finanziarie ben conosciute, giù giù fino a Ricky Levi ricomparso nel cortile di Montecitorio (Parisi doveva stare in qualche salottino privato con pallottoliere). Ma il guaio è fatto, ed è inutile rinvangare. Soluzioni alternative? «Vediamo che cosa propone Bersani, in queste ore i grandi elettori dovranno sciogliere la matassa», dice Matteo lavandosene le mani come Pilato. Eppure, per lui, ieri mattina hanno dovuto trattenere a stento un furibondo Franco Marini, deciso a vuotare il sacco in conferenza stampa. Si potrà ora cambiare cavallo e provare D'Alema? «Ragazzi, per piacere...», si congeda Renzi levando gli occhi al cielo.
Il gioco al massacro investe lo stesso inventore, il sassolino è diventato valanga. Nel Pd c'è chi sospetta che dietro il Vietnam si nasconda la manina di Palazzo Vecchio. «Ma che vuole, un presidente travicello per andare alle elezioni ora? Con un partito in macerie? Pensa di battere Berlusconi con la lista Renzi?», s'interrogano i piddini tramortiti. Giunge da Firenze la constatazione di morte amichevole per Prodi. «La prima gallina che canta ha fatto l'ovo, verrebbe da dire», sbotta Pistelli che, da fiorentino, non fa peccato se pensa male del proprio sindaco. Che replica alle accuse: «Un mio complotto? Mi viene da ridere».
Ma quale logica nasconda una strategia che finisce per far disperdere voti tra Rodotà, schede irriferibili e irrisioni (compresi un Vittorio Prodi e un Massimo Prodi) resta un mistero. E se Renzi fosse un grillino del Pd che vuole mandarli tutti via? «È peggio d'un grillino. Ma così finiamo tutti al manicomio. Pure lui».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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