Roma - C'è di più della perdita di una partita dietro la sconfitta di Alemanno per la corsa al Campidoglio. C'è l'esaurirsi di un'onda nata vent'anni fa e cresciuta nel tempo grazie al vento berlusconiano. Il vento del rinnovamento politico, senza dubbio. Ma non solo. Il vento, diremmo, di un ritrovato orgoglio di appartenenza che ha saputo attirare intorno a sé un significativo consenso. Nel corso degli ultimi lustri la destra si è scoperta protagonista. Regalando alla storia di questo Paese ministri, sottosegretari, governatori, sindaci e cariche istituzionali di primo piano.
Oggi, con la mancata rielezione di Alemanno e la vittoria del candidato del Pd Ignazio Marino, sembra chiudersi un ciclo. Iniziato ancora sotto il simbolo del Movimento sociale di almirantiana memoria e chiuso nella frammentazione partitica e di sigle (da Fratelli d'Italia alla Destra, da Futuro e Libertà alla corrente degli ex di An nel Popolo delle Libertà). Una parabola che proprio da Roma era partita nel '93, quando l'allora segretario del Msi riuscì a raccogliere oltre il 35% delle preferenze nel voto per le Comunali. Quello fu anche il primo passo dell'avventura «politica» di Berlusconi che pronunciò a favore di Fini un endorsement che fece discutere e che sicuramente aiutò a sdoganare i nipotini di Almirante come potenziale forza di governo. Da allora fu un crescendo: prima la nascita di An con l'appoggio di personaggi di primo piano della vecchia Dc. La necessità, scrisse nell'aprile di quell'anno Francesco Storace sulle pagine del Secolo d'Italia, era di trovare una nuova alleanza nazionale che associasse i missini con altri personaggi o schieramenti di idee conservatrici, come la destra democristiana. Dalle parole ai fatti. E con il primo governo Berlusconi, a solo un anno di distanza, già entravano nelle stanze dei bottoni gli ex missini da Peppino Tatarella ad Altero Matteoli.
Roma è stata rampa di lancio anche di un secondo fortunato esperimento. Quello che ha visto protagonista Francesco Storace. Nel 2000 sbaraglia la concorrenza di Piero Badaloni e conquista la poltrona di governatore del Lazio (con Alemanno responsabile della campagna elettorale). E da lì An ha iniziato a radicare sul territorio un dominio politico significativo. Costringendo le altre forze di centrodestra a un ruolo secondario. E che Alleanza Nazionale a Roma fosse una forza politica di primo piano lo dimostra anche la «prima» di Alemanno come candidato sindaco. Nel 2006 perse il ballottaggio con Veltroni, però An raccolse quasi il 20% dei consensi (più del doppio di Forza Italia). Allora l'immagine di Alemanno era rafforzata dalla ribalta ottenuta come ministro della Politiche agricole nei governi Berlusconi. E infatti il successo personale fu notevole, se si pensa che in quel caso fu sconfitto raccogliendo comunque 185mila voti in più del ballottaggio che lo ha visto opporsi a Ignazio Marino, che ora vittorioso commenta: «Spero che in questi momenti difficili per la crisi ci sia la collaborazione dell'opposizione». Tra il 2006 e oggi ci sono stati altri ministri di An (confluiti poi nel Pdl), altri incarichi di prestigio e una nuova vittoria del centrodestra alla Regione Lazio con Renata Polverini (2010). Poi, però, la litigiosità dei capicorrente all'interno del Pdl ha messo in luce, nel corso degli ultimi anni, l'affievolirsi di quella forza propulsiva partita nel '93. La diatriba tra i due consiglieri regionali del Pdl Francesco Battistoni e Franco Fiorito, finita in tribunale, è il momento più difficile. Da allora in tanti hanno pensato a un ritorno degli ex An in un unico contenitore politico. E prima delle ultime amministrative erano in tanti a sussurrare la necessità di una «rinascita». Necessità di cui l'ultimo voto per il Campidoglio mostra con chiarezza l'opportunità. Alemanno però avverte che la battaglia politica non si esaurisce qui. «Sento parlare di de profundis del centrodestra - commenta il sindaco uscente - lo stesso de profundis fu cantato nel 2006 quando persi contro Veltroni. Due anni dopo abbiamo però stravinto in Campidoglio».
All'urgenza di un'azione decisa per arginare l'emorragia di consensi ci avevano già pensato i vertici romani del Pdl già alla fine del primo turno di queste amministrative. Dove si dimostrava con chiarezza la parabola discendente degli ex An. Ha fatto rumore, infatti, la performance dei candidati riconducibili al sindaco. Tra i sette consiglieri del Pdl che entreranno nell'aula Giulio Cesare non c'è nemmeno un suo consigliere. È andata meglio ad Andrea Augello che piazza due consiglieri (Belviso e Mennuni). A vincere la sfida interna al Pdl è però Gianni Sammarco (coordinatore del Pdl romano, proveniente da Forza Italia).
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