Roma - Due gradini per entrare nel palazzo. Un sorriso, talvolta un cordiale cenno con la mano, ai commessi all’ingresso. L’impegnativa traversata del cortile, adesso resa più agevole da una passerella che evita il noioso saliscendi delle scalette. Qualche collega da salutare in Transatlantico. Infine, in aula, l’ultimo strappo, la rampa che porta allo scranno dove il deputato esercita il suo mandato popolare, la digitopressione dell’apposito pulsante elettronico: sì, no, astenuto. Un percorso da Triathlon Ironman: Massimo Calearo quest’anno l’ha già completato per ben tre volte.
«Un lavoro usurante», dice proprio così l’esausto parlamentare ex Pd, ex Api e ora nella file di Popolo e Territorio. Una vitaccia, uno stress. «Credo che da questo momento fino alla fine della legislatura non ci andrò più», commenta dai microfoni della Zanzara. Che fa allora, rimette il mandato? Neanche per sogno. «Non ho alcuna intenzione di dimettermi perché al posto mio entrerebbe uno del Pd molto di sinistra, un filo-castrista», Andrea Colasio.
Ma c’è anche un altro motivo. «Con lo stipendio da parlamentare - racconta Calearo - ci pago le rate per la casa che ho comprato. Dodicimila euro al mese di mutuo». Cos’è, Versailles? «È una casa molto grande...». Certo, bisogna capirlo, la crisi colpisce tutti, pure gli industriali come lui. È per questo che gira con una Porsche con una targa slovacca. «L’ho comprata lì perché in quel Paese ho un’attività con 120 dipendenti». Non solo. «E poi in Slovacchia si possono scaricare tutte le spese per la vettura. In Italia no».
La Casta gli fa un baffo, e chissenefrega dell’antipolitica. Calearo non ha paura di andare controcorrente e contro i sentimenti generale di un Paese che fatica ad arrivare a fine mese. Lui, semplicemente, alla Camera si annoia. Lo fa sapere, usando parole spudorate ma non paradossali, se consideriamo la sua carriera politica. Presidente della Federmeccanica, poi leader degli industriali del Nordest, simpatie nel centrodestra, candidato però nel 2008 da Veltroni come capolista del Pd in Veneto, partito che poi ha lasciato un anno e mezzo dopo, quando segretario è diventato Bersani. «Non sono mai stato di sinistra», disse fondando con Rutelli l’Alleanza per l’Italia, da cui uscì un annetto più tardi per dare vita insieme a Cesaro e Scilipoti al movimento dei Responsabili, quello che il famoso 14 dicembre 2010 salvò il governo Berlusconi. Adesso sta in Popolo e Territorio.
Chissà, forse dal Cavaliere si aspettava una ricompensa. Puntava, dicono, al ministero del Commercio estero, voleva, pare, il posto di Urso. Invece, niente governo. «Fino a novembre mi sono divertito a fare il consulente di Berlusconi per il commercio estero, ora non servo più. È usurante andare alla Camera solo per premere un pulsante, nel 2012 ci sono andato solo tre volte, anche per motivi familiari. Meglio rimanere a casa e fare l’imprenditore».
Ma senza mollare la cadrega, c’è il mutuo da pagare. Giancarlo Lehner, Popolo e Territorio, è sconsolato: «Calaero si è fatto un grappino di troppo. Se prima la gente ci sputava in faccia, adesso ha il diritto di fare di peggio».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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