Roma - Oggi la base dei Cinque Stelle decide il candidato presidente della Repubblica, hacker permettendo. Dieci i nomi tra i quali scegliere in teoria, molti meno in pratica. Tra incandidabili, impresentabili, imbarazzanti e autoesclusi i dieci piccoli indiani sono ridotti a tre: Ferdinando Imposimato, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky. Poi stop.
E gli altri? Gli altri meglio di no. Ognuno per ragioni sue. Prendiamo Beppe Grillo, finito nella top ten quasi per inerzia. Ebbene, lui candidato non può essere perché il non-statuto grillino prevede che i candidati a qualunque carica elettiva «siano incensurati e non abbiano in corso alcun procedimento penale a proprio carico». E Grillo qualche problema trascorso e presente con la giustizia ce l'ha.
Ci sono poi quelli che no grazie. Il primo è Gino Strada, che peraltro voci di corridoio e anche un sondaggio realizzato ieri su Facebook danno come favorito numero uno delle Quirinarie. Ma lui giorni fa è sembrato distaccato se non addirittura seccato. «Sono uno spettatore innocente. Non ho parlato con nessuno e non ho sentito nessuno. Mi occupo di altro, la politica farà le sue scelte», l'unica dichiarazione strappata al fondatore di Emergency. Anche Milena Gabanelli, terza nel sondaggio, viene descritta da chi la conosce come estremamente imbarazzata per una simile attenzione. Di sicuro prima delle elezioni non aveva lasciato spazio a un suo futuro in politica. «Se mi hanno chiesto di candidarmi? Sì, diverse volte. Ma ho sempre detto no. Passare in politica per un giornalista è una strada senza ritorno». Meglio Report. E meglio per l'Italia.
E Dario Fo? Non ha l'età. Ho meglio, ne ha troppa. Lo ha detto lui stesso sabato: «Ho più o meno gli stessi anni di Napolitano, che ho visto reggere questi sette anni con una grinta straordinaria. Ma capisco che sia stanco, affaticato e mortificato dalla fatica. Non mi sembra sia il caso di mettermi alla prova». Imbarazzante anche il caso di Gian Carlo Caselli, molto amato dal popolo a Cinque stelle epperò, in quanto procuratore capo di Torino, persecutore delle frange più estreme dei No Tav, che come si sa sono fiancheggiate dai grillini. Insomma, una contraddizione fotografata da questo Vittorio Bertola, capogruppo torinese del M5S: «Sappiate che se per caso scegliessimo Caselli poi non potremmo più farci vedere in Val Susa...».
E poi ci sono i due nomi più contestati, Emma Bonino e Romano Prodi. Troppo vecchia politica la prima, troppo a sinistra il secondo. Su di loro si è scatenato il popolo del web e anche Paolo Becchi, ideologo del M5S: «Se il nuovo che avanza nel M5S è Romano Prodi allora siamo messi male, molto male». Pure il «comunicatore» Claudio Messora è perplesso: «Io personalmente - scrive sul suo blog byoblu.com - mi auguro che il referendum finale di domani (oggi, ndr) indichi nominativi diversi da quelli contestati». La verità è che dentro al M5S - più nella base che negli eletti - c'è una parte consistente che chiede un dialogo con il Pd e lo fa in questo modo.
Di dialogo con il Pd non vuol sentire parlare Grillo, che ieri è tornato ad attaccare sul suo blog la vecchia politica citando, nel titolo del suo post, Tito Livio: «Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur». Cioè: mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata. «Il Paese - scrive Grillo - ha bisogno di leggi e di riforme, ma il Parlamento è paralizzato da anni».
E visto che «in questa legislatura è arrivata una variabile non prevista: il M5S», si cerca di disinnescarla istituendo «le Commissioni DOPO l'elezione del presidente della Repubblica. Poi, extrema ratio, per sicurezza, si potrebbero sciogliere le Camere e andare a nuove elezioni senza aver avviato alcuna riforma».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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