Se il Pontefice dei poveri chiudesse lo Ioril commento 2

di«San Pietro non aveva una banca». Queste parole pronunciate dal Cardinale africano Onaiyekan prima del conclave che ha eletto Papa Francesco sono state pesanti come macigni. Qualcuno dopo aver sentito questo giudizio ha persino rincarato la dose ricordando che tra gli Apostoli «quello che teneva la cassa era Giuda». A questo punto all'alba del «nuovo corso» impresso da Jorge Mario Bergoglio c'è chi comincia a pensare quello che fino a ieri era inimmaginabile, ovvero la possibilità che il Vaticano possa rinunciare allo Ior, la sua banca privata. Di sicuro dal 1942, anno della sua fondazione, la banca ha creato più di un imbarazzo al Vaticano fino ad arrivare all'aumento esponenziale di sospetti, illazioni, dicerie di ogni tipo registrato negli ultimi anni anche grazie ad internet e alla sua capacità di «creare rumore» su argomenti su cui vi è segretezza. Il caso rivelato da L'Espresso con la magistratura che sta indagando su persone vicine alla banca anche con pesanti contrasti fra Italia e Vaticano non è che l'ultimo di una serie. Non è quindi assurdo immaginare che nei Sacri Palazzi si stia soppesando qual è il danno reputazionale derivante dal possesso di una banca chiacchierata paragonato ai benefici che essa comporta. Proviamo a mettere insieme qualche fatto per capire se si tratta di una possibilità concreta oppure no. Innanzitutto va detto che lo Ior non è esattamente una banca nel senso che non si occupa di quella che dovrebbe essere l'attività principale, vale a dire l'erogazione del credito: in pratica non eroga mutui, non concede prestiti e non rilascia garanzie finanziarie. Pertanto la sua funzione è quasi esclusivamente legata ai servizi e all'investimento di conti che siano «in tutto o in parte, almeno in prospettiva futura» legati all'attività religiosa o ad opere di carità. Ovviamente ospita anche i conti correnti degli impiegati dello Stato della Città del Vaticano, di prelati e di diocesi e enti cattolici di tutto il mondo. La posizione extraterritoriale di questi conti e l'efficiente servizio di trasferimento internazionale di denaro dello Ior hanno contribuito alle critiche più feroci legate a sospetti di poca trasparenza sull'origine e la destinazione dei fondi. Non tutte le leggende però sono fondate: spesso si favoleggia di enormi tesori e cifre irrealistiche e segretissime, in realtà per avere i numeri basta leggere il ponderoso rapporto del comitato di contrasto al riciclaggio del Consiglio Europeo «Moneyval» pubblicato lo scorso luglio dopo richiesta esplicita di Papa Benedetto XVI. Il patrimonio gestito è sì importante ma, con i suoi 6 miliardi di euro rappresenta appena un duecentesimo dell'industria italiana del risparmio gestito. Spesso infatti si fa confusione con l'altra istituzione finanziaria del Vaticano, vale a dire l'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, che gestisce l'ingentissimo patrimonio immobiliare della Chiesa, una somma di denaro inferiore al miliardo di euro e provvede al sostentamento finanziario della Città del Vaticano compresi i pagamenti degli impiegati. In estrema sintesi l'Apsa gestisce i beni propri della Chiesa, mentre lo Ior è una banca commerciale e di servizi di fatto «privata».

Avere servizi finanziari propri in periodi dove le banche, sin dai conti correnti, non si stanno rivelando di massima affidabilità è sicuramente un privilegio invidiabile e quindi ben difficilmente il Vaticano troverebbe conveniente rinunciarvi, però il mondo cambia. Pietro in effetti non aveva una banca e di sicuro non l'aveva San Francesco, da cui il nuovo Papa ha preso nome e ispirazione.

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