Senza riforme reali cresce solo il debito

Inizia oggi la collaborazione dell'ex governatore della Liguria Giovanni Toti con Il Giornale

Senza riforme reali cresce solo il debito

Dopo dieci anni dedicati alla politica, posso tornare a scriverne impugnando la penna del giornalista, che poi è il mio mestiere. Farlo da queste pagine, un faro acceso da cinquant'anni per chi ama la libertà, confesso che è emozionante come il primo contratto che firmai da Praticante, ormai nel secolo scorso. Commentare il mondo sul quotidiano che fu di Montanelli, dove quasi ogni mattina leggo i pensieri di un maestro come Vittorio Feltri, è un onore di cui sarò eternamente grato al Direttore Alessandro Sallusti. Non solo mi ha sostenuto nei giorni più difficili di questa brutta estate, ma ha saputo tenere alta la fiaccola di un pensiero liberale e garantista che non tutti hanno saputo onorare con la stessa determinazione. E questo spazio sul Giornale ne è una ulteriore dimostrazione. «It's the economy, stupid» recitava un vecchio slogan della campagna elettorale di Bill Clinton negli anni 90. E anche io vorrei partire da qui, visto che l'economia sarà centrale nel dibattito dei prossimi mesi e la manovra finanziaria è alle porte. Ne hanno parlato il Presidente Meloni con i suoi alleati così come la Schlein nella sua «estate militante». Ma nonostante molte parole, non mi risulta chiara la direzione né dell'una né dell'altra coalizione. Partiamo da un dato di fatto e da una considerazione generale. Il dato di fatto: nei prossimi mesi torneranno in vigore, dopo il Covid, le regole europee sui conti pubblici. I soldi che verranno stanziati nella manovra, pagati gli enormi interessi sul debito del Paese, saranno meno di quanti servirebbero. Ciò accade sempre e tutti lo sanno benissimo, anche chi, per ruolo, fa finta del contrario. La considerazione invece è la seguente: l'effetto che tali risorse produrranno in termini di crescita economica, occupazione, oppure di migliori servizi ai cittadini, vedi sanità, i servizi sociali, scuola, dipenderà dalle regole con cui quei soldi verranno spesi. Dunque, trattandosi di due fattori, soldi e regole di ingaggio, che si influenzano a vicenda, in tempi di vacche magre la politica dovrebbe mettere grande attenzione sulle riforme necessarie a moltiplicare l'effetto delle scarse risorse disponibili. Ora, francamente, di tutto ciò vi è poca traccia. Le opposizioni già lamentano, in via preventiva, gli scarsi stanziamenti del governo, salvo poi sostenere in Europa la linea del rigore. Una sorta di schizofrenia politica. Oltre a proporre spese maggiori, a partire dalla sanità (ma non solo) lungi dallo spiegare come coprirebbero quelle spese in più, le sinistre cavalcano una serie di riforme che rischiano, nel binomio che sopra ho descritto, di rendere meno efficaci anche i denari che già ci sono. Iniziative come il referendum per abolire il Jobs Act, il salario minimo, l'orario di lavoro ridotto, il contrasto ad ogni tipo di privatizzazione, sono tesi a conquistare consenso con la presunta estensione di alcuni diritti ma, lungi dall'essere moltiplicatori di crescita ed efficienza, lasciano totalmente inevasa una domanda centrale: chi paga tutto ciò? Dopo il 110 per cento dei grillini e il reddito di cittadinanza che graveranno sulle tasche degli Italiani per lustri, risulta francamente insostenibile promettere nuova spesa senza individuare nuove entrate. Ad una politica economica tutta incentrata sulla spesa e sulla riduzione della competitività legata alla soppressione di libertà e flessibilità, si aggiunge poi la religione neopagana della transizione energetica a tutti i costi. Così è facile tornare alla suggestione della «decrescita felice» che ha ormai innervato il pensiero dominante di certa sinistra. Dunque usare diritti e ambiente non per rendere migliore la vita dei cittadini, ma per abbattere un sistema basato sul mercato e sulla libertà che, questo sì, la vita può migliorarla davvero. Sul fronte della maggioranza di governo, passati ormai due anni dall'insediamento, necessariamente trascorsi tappando buchi e rincorrendo le necessità del momento (guerre, crisi energetica), ora servirebbe un cambio di passo. Ben sapendo che i soldi sono e saranno meno del necessario, sarebbe opportuno avviare una fase di riforme, rivolte alla crescita e alla competitività di sistema, che talvolta il centrodestra sembra aver dimenticato far parte del proprio Dna. L'ultimo governo infatti ad aver presentato al Paese un piano organico pro mercato, libertà economica, crescita è stato il Governo Berlusconi del 2001. La «Legge obiettivo» sulle grandi opere, il «Piano Casa» per l'edilizia, la cancellazione delle imposte sugli immobili, le tre aliquote fiscali, l'abolizione dell'articolo 18 simbolo della rigidità dello Statuto dei Lavoratori. Non tutto è riuscito allora, ma fu l'ultimo governo a presentarsi con un organico piano di cambiamenti ispirato all'America del Presidente Reagan, alla Gran Bretagna della signora Thatcher, a quella Scuola di Chicago che l'attuale maggioranza sembra aver riposto nel cassetto da troppo tempo. Eppure, in questi due anni, il governo deve aver ben compreso che con le risorse che ha a disposizione non riuscirà a dare, senza una vera rivoluzione di sistema, le risposte che i cittadini si attendono. L'invecchiamento della popolazione continuerà a far crescere i costi della sanità e dei servizi sociali. E i maggiori fondi stanziati in un sistema rigido e inefficiente non produrranno risultati, ma bruceranno le maggiori risorse trovate in spesa senza beneficio. Potrei dire la stessa cosa della istruzione, della formazione professionale, dell'Università, della ricerca e della innovazione. Insomma di quasi tutti i settori della spesa pubblica.

Servono riforme che aumentino produttività e qualità del lavoro in ciascun campo, solo così i soldi pubblici produrranno crescita e solo con la crescita sarà possibile offrire maggiori e migliori opportunità agli Italiani. Serve il coraggio di mettere in concorrenza sanità pubblica e privata, di far scegliere ai cittadini dove far assistere il proprio nonno o familiare disabile tramite voucher spendibili nel pubblico e nel privato alla pari, serve meritocrazia nella istruzione, ma non solo per gli studenti Occorre aumentare i salari e ridurre le imposte, ma sempre stimolando maggiore produttività e premiando impegno e risultati.

Insomma, alla vigilia di un autunno che sarà caldo, prima di accapigliarsi sui soldi, la politica abbia il coraggio di un serio dibattito sulle regole e sulle riforme, senza il quale quei denari produrranno solo nuovo debito con pochi benefici. E si abbia il coraggio di dire ai nostri concittadini che non esiste il diritto a vivere in un Paese migliore senza il corrispettivo dovere di costruirlo, anche con sudore e coraggio.

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